Corte Costituzionale sentenza n° 5 del 2018 sulla legge 119/2017 “Lorenzin”
La Corte Costituzionale con questa Sentenza ha rifiutato l’intervento di Aggregazione Veneta in violazione dell’art.15 della Convenzione-Quadro per la protezione delle minoranze nazionali (L.n.302/1997) potendo così non discutere dell’obbligo vaccinale che viola la “Convenzione di Oviedo” (L.n.215/2001)
SENTENZA N. 5
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1, 2, 3, 4 e 5; 3; 4; 5 e 7, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73 (Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale) e degli artt. 1, commi 1, 1-bis, 1-ter, 2, 3, 4 e 6-ter; 3; 3-bis; 4; 5; 5-quater e 7 del medesimo decreto-legge, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2017, n. 119, promossi dalla Regione Veneto con ricorsi notificati il 24-28 luglio e il 14-15 settembre 2017, depositati in cancelleria il 25 luglio e il 21 settembre 2017 e iscritti ai nn. 51 e 75 del registro ricorsi 2017.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché gli atti di intervento dell’associazione «Aggregazione Veneta – Aggregazione delle associazioni maggiormente rappresentative degli enti ed associazioni di tutela della identità, cultura e lingua venete», nonché di L. P.; della «Associazione per Malati emotrasfusi e Vaccinati» (AMEV), unitamente (quanto al giudizio iscritto al r.r. n. 75 del 2017) a L. B. e C. C., in qualità di genitori del minore L. C.; delle associazioni CODACONS e «Articolo 32 – Associazione italiana per i diritti del malato» (AIDMA) (quanto al giudizio iscritto al r.r. n. 51 del 2017); del «Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino» (CONDAV) (quanto al giudizio iscritto al r.r. n. 75 del 2017);
udito nella udienza pubblica del 21 novembre 2017 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi gli avvocati Marco Della Luna per l’Aggregazione Veneta e L. P., Marcello Stanca per AMEV, L. B. e C. C., Tiziana Sorriento per CODACONS e AIDMA, Vanni Domenico Oddino per CONDAV, Luca Antonini e Andrea Manzi per la Regione Veneto e gli avvocati dello Stato Enrico De Giovanni e Leonello Mariani per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 24 luglio-28 luglio 2017 e depositato il 25 luglio 2017 (r.r. n. 51 del 2017), la Regione Veneto ha impugnato il decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73 (Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale), per intero e con riguardo agli artt. 1, commi da 1 a 5; 3; 4; 5 e 7.
1.1.– La ricorrente riassume le finalità del d.l. n. 73 del 2017 e il contenuto delle disposizioni censurate.
Nel preambolo del decreto-legge, è affermata la «straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per garantire in maniera omogenea sul territorio nazionale le attività dirette alla prevenzione, al contenimento e alla riduzione dei rischi per la salute pubblica e di assicurare il costante mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza epidemiologica in termini di profilassi e di copertura vaccinale»; nonché la necessità di «garantire il rispetto degli obblighi assunti e delle strategie concordate a livello europeo e internazionale e degli obiettivi comuni fissati nell’area geografica europea».
Su queste premesse, l’art. 1, comma 1, prevede, per i minori fino a sedici anni di età, dodici vaccinazioni obbligatorie e gratuite. Di queste, otto (anti-pertosse, Haemophilus influenzae di tipo B, meningococcica di tipo B e C, morbillo, rosolia, parotite e varicella) non erano previste dalla normativa previgente (legge 6 giugno 1939, n. 891, recante «Obbligatorietà della vaccinazione antidifterica»; legge 5 marzo 1963, n. 292, recante «Vaccinazione antitetanica obbligatoria»; legge 4 febbraio 1966, n. 51, recante «Obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica»; legge 27 maggio 1991, n. 165, recante «Obbligatorietà della vaccinazione contro l’epatite virale B»).
L’obbligo è escluso in caso di avvenuta immunizzazione a seguito di malattia naturale, nonché di pericolo per la salute in relazione a specifiche condizioni cliniche, da documentare nei modi stabiliti, rispettivamente, dallo stesso art. 1 del d.l. n. 73 del 2017, ai commi 2 e 3.
I commi 4 e 5 dell’art. 1 e i successivi artt. 3, 4 e 5 istituiscono un sistema di controlli e sanzioni volto a garantire il rispetto dell’obbligo vaccinale, anche in relazione all’accesso dei minori alle istituzioni scolastiche ed educative.
In caso di inosservanza dell’obbligo, è comminata (art. 1, comma 4) a carico dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale e dei tutori la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 7.500 euro, salvo che gli stessi provvedano, a seguito di contestazione della competente azienda sanitaria locale (ASL), nel termine ivi indicato, a fare somministrare al minore il vaccino o la prima dose del ciclo vaccinale (e, in questo caso, purché il ciclo sia completato nei tempi stabiliti in relazione all’età del minore). Alla scadenza del termine, l’ASL è tenuta a segnalare l’inadempimento alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, per gli eventuali adempimenti di competenza (art. 1, comma 5).
Sono previsti (art. 3, comma 1) modi e tempi per la presentazione da parte dei genitori o dei tutori, all’atto dell’iscrizione dei minori alle istituzioni del sistema nazionale di istruzione (nonché ai servizi educativi per l’infanzia, ai centri di formazione professionale regionale e alle scuole private non paritarie), della documentazione che comprovi l’effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie, oppure l’esonero, omissione o differimento delle stesse (in relazione a quanto previsto all’art. 1, commi 2 e 3), oppure ancora la richiesta di vaccinazione. La mancata presentazione della documentazione nei termini previsti (art. 3, comma 2) è segnalata dai responsabili delle istituzioni suddette all’ASL (anche ai fini di quanto previsto nell’art. 1, commi 4 e 5). La presentazione della documentazione costituisce requisito per accedere ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia (anche private non paritarie), ma non alla scuola o agli esami negli altri gradi di istruzione (art. 3, comma 3).
L’art. 4 prevede, di norma, l’inserimento dei minori, per i quali le vaccinazioni comportino pericoli (accertati a norma dell’art. 1, comma 3), in classi nelle quali siano presenti solo alunni vaccinati o immunizzati (fermo restando il numero delle classi determinato secondo le disposizioni vigenti e i limiti previsti dalle disposizioni richiamate nello stesso art. 4). Dirigenti e responsabili delle istituzioni interessate segnalano annualmente alla ASL le classi con più di due alunni non vaccinati.
L’art. 5 detta norme transitorie sulla documentazione da presentare ai fini dell’iscrizione per l’anno scolastico 2017/2018. È fissato, all’uopo, il termine del 10 settembre 2017 ed è consentito che la documentazione sia temporaneamente sostituita da una dichiarazione – resa ai sensi del d.P.R. 28 giugno 2000, n. 445, «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (Testo A)» – e presentata successivamente, entro il 10 marzo 2018.
L’art. 7 contiene le disposizioni finanziarie. Esso identifica come unico nuovo onere quello inerente alla formazione del personale scolastico ed educativo (di cui all’art. 2, comma 3, dello stesso decreto-legge) e prevede, in relazione a ciò, una copertura pari a euro 200.000 per l’anno 2017.
Dalla relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione, nonché dalla circolare del Ministro della salute del 12 giugno 2017 (Circolare recante prime indicazioni operative per l’attuazione del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, recante “Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale”), la ricorrente desume che lo scopo della normativa è raggiungere la soglia del 95 per cento di copertura vaccinale contro malattie a rischio epidemico, sul presupposto che tale soglia sia raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per il conseguimento della cosiddetta “immunità di gregge” (herd immunity, immunità o resistenza collettiva a un certo patogeno da parte di una comunità o di una popolazione umana); che dal 2013 si sia verificata in Italia una tendenziale diminuzione del ricorso alle vaccinazioni, determinando una copertura vaccinale al di sotto della soglia anzidetta; che nello stesso periodo siano aumentati i casi di malattie infettive (soprattutto morbillo e rosolia), anche in fasce di età diverse da quelle classiche, con quadri clinici più gravi e maggiore ospedalizzazione; che siano ricomparse malattie da tempo debellate, anche in seguito ai flussi di immigrazione; che, secondo dati dell’OMS («World Health Statistics», rapporto pubblicato il 17 maggio 2017) le coperture italiane risultino tra le più basse in Europa e inferiori a quelle di alcuni Paesi africani.
Pertanto, si è ritenuto necessario e urgente estendere e rendere effettivi gli obblighi vaccinali vigenti, anche in conformità al principio di precauzione, che prescrive di neutralizzare o minimizzare i rischi per la salute umana, anche se non del tutto accertati.
1.2.– Con il primo motivo di ricorso, la Regione Veneto censura il d.l. n. 73 del 2017 e «in ogni caso» le sue singole disposizioni indicate in epigrafe per violazione dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione, «in combinato disposto» con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.
La ricorrente precisa di non contestare la validità dei programmi di vaccinazione, essendosi anzi dotata di un apposito sistema attraverso la propria legge 23 marzo 2007, n. 7 (Sospensione dell’obbligo vaccinale per l’età evolutiva). La ricorrente contesta, invece, l’introduzione, mediante decretazione d’urgenza, di ben dodici vaccinazioni obbligatorie, assistite da «pesanti coercizioni», con una decisione senza precedenti a livello internazionale.
Richiamata la giurisprudenza costituzionale sull’art. 77 Cost., la Regione osserva che sul proprio territorio non esiste alcuna emergenza di sanità pubblica in relazione alle patologie di cui al d.l. n. 73 del 2017, tale da giustificare il travolgimento del programma regionale, basato sul consenso informato, e la sua sostituzione con un esteso obbligo vaccinale.
Secondo la ricorrente, l’“immunità di gregge” è assicurata quando, in una comunità umana, è superata la «soglia critica» individuata per ciascuna patologia in uno specifico contesto. Al di sotto di questa soglia, non ricorre alcuna emergenza sanitaria. Il valore del 95 per cento non è stato indicato dall’OMS come soglia critica, ma solo come «soglia ottimale», e ciò esclusivamente in relazione al complesso DTP (difterite, tetano e pertosse). Anche il Piano nazionale di prevenzione vaccinale (PNPV) 2017-2019 (oggetto dell’intesa sancita in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano – di seguito, Conferenza Stato-Regioni – il 19 gennaio 2017) ha previsto il valore del 95 per cento come valore ottimale (da raggiungere secondo specifiche strategie regionali), non come soglia critica, e solo in relazione a meningite, rosolia, varicella e papilloma virus. Sulla base dei cosiddetti parametri critici, relativi all’andamento epidemiologico di talune malattie infettive, è possibile, previa definizione della soglia critica in ciascun contesto, definire una «strategia ottimale» per il contrasto della stessa malattia, tenendo conto dell’effetto delle campagne vaccinali, dell’“immunità di gregge” conseguita e delle eventuali controindicazioni vaccinali. Non esiste, peraltro, un’unica soglia critica valida per tutti i patogeni in tutti i contesti, dovendosi invece tenere conto di vari fattori biologici, ambientali e socio-economici.
In conclusione, la soglia del 95 per cento, al cui raggiungimento mira il d.l. n. 73 del 2017, sarebbe «del tutto arbitraria, essendo priva di qualsiasi giustificazione scientifica o normativa».
Ciò sarebbe comprovato anche dai livelli di attenzione e allarme fissati nella deliberazione della Giunta regionale del Veneto 28 luglio 2009, n. 2319, recante «Sospensione dell’obbligo vaccinale per l’età evolutiva (L.R. 7/2007). Approvazione del Piano di Monitoraggio del Sistema Vaccinale della Regione del Veneto e del Report Monitoraggio Sospensione Obbligo Vaccinale relativo all’anno 2008». Nella Regione non esiste alcuna generalizzata emergenza sanitaria; le coperture vaccinali superano il 90 per cen to per sette delle malattie di cui al d.l. n. 73 del 2017 e superano comunque in tutti i casi le soglie critiche (come risulterebbe da dati dell’Istituto superiore di sanità, ISS), anche con riguardo alla copertura contro poliomielite e morbillo nella fascia tra i due e i diciotto anni di età (come risulterebbe da dati della stessa Regione).
In relazione al morbillo, la ricorrente riconosce che, secondo alcuni dati del Ministero della salute, la copertura sarebbe inferiore alla soglia critica fissata nel PNPV 2017-2019. Ma la situazione non desterebbe, ad avviso della stessa ricorrente, alcun allarme. Comunque, le norme censurate non risponderebbero adeguatamente all’esigenza di contenere l’epidemia di morbillo: quest’ultima riguarda soprattutto adolescenti oltre i sedici anni; la malattia è frequente anche in persone vaccinate; non esiste una correlazione tra copertura vaccinale e casi di morbillo (come risulterebbe da dati dell’ISS).
Non sussisterebbe, dunque, l’esigenza di una disciplina dettagliata sulla somministrazione dei vaccini, da applicarsi in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.
Inoltre, le norme censurate, poiché prevedono la presentazione anche solo della richiesta di vaccinazione ai fini dell’iscrizione scolastica (art. 3, comma 1) e, transitoriamente, la possibilità di presentare una dichiarazione sostitutiva (art. 5), non sarebbero nemmeno immediatamente operative.
La violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. ridonderebbe in una lesione delle competenze regionali in materia di tutela della salute (organizzazione e funzionamento del Sistema sanitario regionale) e di istruzione (servizi educativi per l’infanzia e garanzia del diritto allo studio nelle istituzioni scolastiche ed educative).
1.3.– Con il secondo motivo di ricorso, l’art. 1, commi da 1 a 5, e gli artt. 3, 4 e 5 del d.l. n. 73 del 2017 sono censurati per violazione degli artt. 2, 3, 31, 32, 34 e 97 Cost., quest’ultimo «in combinato disposto» con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.
In sintesi, sulla base della riferita distinzione tra soglia ottimale e critica, le disposizioni censurate si paleserebbero ingiustificate ed eccessive, in pregiudizio del diritto alla salute e allo studio, dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, nonché del buon andamento dell’amministrazione, sempre con ridondanza sulle già citate attribuzioni regionali in materia di sanità e istruzione, e con autonoma violazione di esse.
1.3.1.– Ad avviso della ricorrente, l’art. 32, primo e secondo comma, Cost. garantisce la libertà del singolo di non sottoporsi a cure o terapie non scelte o accettate, salvo che ricorra uno «stato di necessità per la salute pubblica» e, inoltre, con la duplice garanzia, sul piano formale, della riserva di legge in materia di trattamenti sanitari imposti e, sul piano sostanziale, del rispetto in tutti i casi dei «limiti imposti dal rispetto della persona umana», a propria volta riflesso del fondamentale principio personalista (art. 2 Cost.).
Ciò darebbe rilievo costituzionale al principio di autodeterminazione (sono citate al riguardo le sentenze della Corte costituzionale n. 162 del 2014 e n. 207 del 2012), le cui limitazioni devono essere ragionevolmente e congruamente giustificate dall’impossibilità di tutelare altrimenti interessi di pari rango.
Anche diverse norme internazionali confermano che gli interventi di profilassi contro malattie infettive e diffusive devono soggiacere a limiti come quelli derivanti dalla necessità di tutelare la vita, l’integrità psico-fisica, la dignità umana e la riservatezza. Sono citati, al riguardo, gli artt. 1 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 (CDFUE), che garantiscono la dignità umana e l’integrità fisica e psichica di ciascun individuo, nonché (art. 3, comma 2) il rispetto del consenso libero e informato della persona in ambito medico e biologico; l’art. 8, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU), che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare; l’art. 24 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 (per la quale la ratifica e l’esecuzione sono state disposte con legge 27 maggio 1991, n. 176), che tutelano la salute dei minori e garantiscono il loro accesso ai servizi medici; gli artt. 5, 6 e 9 della Convenzione sui diritti umani e la biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997 (per la quale la ratifica e l’esecuzione sono state disposte con legge 28 marzo 2001, n. 145), il primo dei quali, in particolare, sancisce come regola generale la necessità del consenso libero e informato dell’interessato ai trattamenti sanitari (ancorché per questa convenzione non sia stato depositato lo strumento di ratifica, essa avrebbe almeno valenza interpretativa del diritto vigente, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità).
In sintesi, i principi costituzionali subordinano la legittimità dell’obbligo vaccinale alla compresenza di un interesse sanitario individuale o collettivo non altrimenti tutelabile, in una logica di bilanciamento. Dirimente sarebbe, a tale riguardo, che il sistema elaborato dalla Regione Veneto, basato sul consenso informato e sull’alleanza terapeutica, ha consentito di raggiungere un livello di copertura vaccinale superiore alla soglia critica.
1.3.2.– La ricorrente illustra genesi, caratteristiche e sviluppi di tale sistema, che esclude qualsiasi forma di coercizione, ritenuta controproducente.
Il graduale superamento dell’obbligo vaccinale era stato previsto nel Nuovo piano nazionale vaccini 2005-2007 (oggetto dell’accordo raggiunto in seno alla Conferenza Stato-Regioni il 3 marzo 2005), sul presupposto che le vaccinazioni raccomandate fossero percepite come meno importanti rispetto a quelle obbligatorie e che per questo, in relazione a esse, si ottenessero risultati inferiori. Di conseguenza, optando per una strategia basata sull’informazione e sulla persuasione e orientata a una maggiore qualità dei servizi vaccinali, si è consentito alle Regioni di sperimentare una sospensione dell’obbligo vaccinale, purché in presenza di un adeguato sistema informativo, di una copertura vaccinale già adeguata e di un efficace monitoraggio degli eventi avversi.
Di conseguenza, la legge della Regione Veneto n. 7 del 2007 ha sospeso, per tutti i nuovi nati dal 1° gennaio 2008, le vaccinazioni contro difterite, tetano, poliomielite ed epatite virale B (art. 1, comma 1), pur continuando a offrirle attivamente e gratuitamente e lasciandole inserite nel calendario vaccinale dell’età evolutiva (art. 1, comma 2). Era altresì conservato l’obbligo di indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze irreversibili delle vaccinazioni (art. 1, comma 3). È stato inoltre istituito un sistema di monitoraggio (art. 3), in collaborazione con le istituzioni sanitarie nazionali, il quale consente, in casi di pericolo per la salute pubblica, la sospensione dell’applicazione della legge regionale.
La Regione ha quindi avviato molteplici iniziative – dettagliatamente descritte nel ricorso – per la sensibilizzazione e l’accompagnamento dei genitori verso un autonomo convincimento dell’importanza delle vaccinazioni, per l’informazione al pubblico e il contrasto della disinformazione, nonché per il monitoraggio e la gestione delle vaccinazioni (sono citate, al riguardo, le delibere della Giunta regionale del Veneto 29 novembre 2016, n. 1935, 14 ottobre 2010, n. 3139, e 25 novembre 2008, n. 3664).
Tra l’altro si osserva che (nella d.G.R. n. 1935 del 2016) è stata prevista anche l’introduzione di una procedura «con cui sarà necessario presentare, per l’accesso a nidi e scuole per l’infanzia, la documentazione sulle avvenute vaccinazioni, da inviare poi al sindaco dell’ULSS territorialmente competente per la valutazione su eventuali rischi individuali e/o collettivi; il sindaco, quale Autorità Sanitaria Locale, potrà assumere la decisione di allontanare temporaneamente il bambino in questione dalla struttura o non ammetterlo alla frequenza, previo parere del Servizio di igiene e sanità pubbliche».
Come risulta dal «Report sull’attività vaccinale dell’anno 2016» della stessa Regione Veneto (pubblicato nel marzo 2017), dopo la sospensione dell’obbligo vaccinale la copertura è leggermente calata, ma poi ha iniziato a crescere sensibilmente (per i nati nel 2015 e nel 2016), rimanendo sempre ben al di sopra del 90 per cento per le vaccinazioni in precedenza obbligatorie. Sono stati altresì raggiunti tassi di copertura elevati, superiori alla media nazionale, anche per altre vaccinazioni (come quelle contro morbillo, varicella, meningococco C, parotite, rosolia).
1.3.3.– Alla luce di questi risultati, la ricorrente ritiene irragionevole e sproporzionata la decisione dello Stato di imporre, in modo immediato e automatico, il passaggio da una strategia vaccinale basata sulla convinzione a una basata sulla coercizione.
Nella sentenza n. 258 del 1994, la Corte costituzionale ha stabilito che le leggi che prevedono obblighi vaccinali sono compatibili con l’art. 32 Cost. se contemperano la tutela della salute collettiva e il diritto individuale alla salute. Ma ciò non può autorizzare l’integrale conversione del diritto individuale in soggezione, in nome dell’interesse generale, a prescindere dall’esistenza di efficaci modelli alternativi di tutela. Il diritto dell’individuo alla salute non può considerarsi in ogni caso cedevole nei confronti del dovere dello Sato e dei provvedimenti adottati a tutela dell’interesse della collettività, né potrebbe ritenersi che qualsiasi trattamento coattivo sia giustificato, solo perché esso consente migliori contributi dell’individuo al benessere sociale. Il diritto alla salute avrebbe carattere primario e assoluto (è citata la sentenza n. 88 del 1979) e il principio costituzionale del rispetto della persona umana, in collegamento con l’art. 2 Cost., pone in primo piano il problema del consenso, la cui necessità può essere bilanciata solo per dimostrate e imprescindibili esigenze di tutela di valori con pari dignità costituzionale. In ogni caso, anche con riguardo agli obblighi vaccinali, occorrerebbe bilanciare e ponderare la tutela della salute collettiva con l’autodeterminazione individuale. La ricorrente ricorda, al riguardo, la sentenza n. 118 del 1996, con cui la Corte costituzionale ha impostato il problema del contemperamento tra dimensione individuale e collettiva della tutela della salute, con riguardo alla vaccinazione poliomielitica e alla “scelta tragica” di imporla per legge, pur nella consapevolezza di rischi di contagio, preventivabili solo in astratto.
L’imposizione su tutto il territorio nazionale di ben dodici vaccinazioni obbligatorie fallirebbe il test di proporzionalità.
Anzitutto, il legislatore non avrebbe fatto ricorso a strumenti alternativi, ugualmente efficaci rispetto all’obiettivo perseguito ma meno penalizzanti per gli altri diritti e interessi costituzionalmente protetti. La tutela della salute collettiva sarebbe diventato un «valore tirannico» (è citata la sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 2013), anche se avrebbe potuto essere analogamente realizzata da un modello come quello regionale, senza la “scelta tragica” della coercizione.
Inoltre, le misure contestate sarebbero inidonee a conseguire la maggior parte degli scopi perseguiti e, comunque, eccessive rispetto ad essi. Il tetano, oltre ad avere una bassa incidenza e una mortalità inferiore alla metà dei casi, non si trasmette per contagio: sicché la vaccinazione serve a tutelare solo la salute individuale, non quella collettiva. L’incidenza di difterite, poliomielite, Haemophilus influenzae di tipo B (Hib) e pertosse sarebbe, attualmente, estremamente limitata, se non pressoché nulla; anche quella dell’epatite B risulterebbe in corso di riduzione (essendo comunque concentrata nella fascia di età tra i trentacinque e i cinquantaquattro anni). Nemmeno per la meningite è in corso alcuna epidemia e, inoltre, la trasmissione interpersonale è inesistente o eccezionale, mentre i vaccini non danno garanzie e possono provocare reazioni avverse di una certa gravità (tanto che l’OMS li consiglia solo se la diffusione raggiunge un livello ben superiore a quello riscontrato in Italia). A proposito del morbillo, la ricorrente rinvia alle considerazioni già riportate, osservando che, comunque, l’obbligo generale e permanente di vaccinazione è eccessivo.
Neppure sarebbe rispettato il principio di precauzione, impropriamente richiamato a giustificazione delle norme censurate. Esso avrebbe richiesto un’accurata valutazione epidemiologica preventiva del rischio di diffusione delle varie malattie nei vari contesti; tanto più perché non sono disponibili studi sugli esiti del sistema di profilassi adottato, che non risulta presente in alcun paese del mondo. «Da questo punto di vista, le norme impugnate, proprio contraddicendo il principio di precauzione, introducono, come è stato affermato, una sorta di grottesca “sperimentazione di massa” obbligatoria (…), senza il sostegno di un preventivo sistema di farmacovigilanza e senza una supervisione bioetica».
La previsione di esoneri dall’obbligo vaccinale in caso di pericoli specificamente accertati e documentati per la salute individuale (art. 1, comma 3) non sarebbe sufficiente, restando rimessa «al caso o alla “onerosa” previdenza dei genitori».
Mancherebbero dunque gli accertamenti e le cautele preventive, finalizzate a prevenire complicanze, richieste dalla stessa giurisprudenza costituzionale (sono citate le sentenze n. 118 del 1996 e n. 258 del 1994).
1.3.4.– Sussisterebbe anche una violazione del principio del buon andamento dell’amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., in combinato disposto con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., per l’ingerenza nell’organizzazione e nel funzionamento del Servizio sanitario regionale, di cui potrebbe essere compromessa l’efficacia nell’erogazione dei servizi. Infatti, la «irragionevole immediatezza e rigidità» delle norme in questione, anche in presenza di strategie vaccinali già efficaci e più rispettose della libertà di scelta individuale, costringerebbe il Servizio sanitario regionale a concentrare i propri mezzi sulla somministrazione dei vaccini, trascurando le altre prestazioni ricomprese nei livelli essenziali.
Inoltre, in relazione a quanto previsto in materia di accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia, nonché alle pesanti sanzioni in caso di inadempimento, sarebbe compromessa la capacità delle Regioni di erogare i servizi per l’infanzia (art. 31 Cost.) e garantire il diritto allo studio (art. 34 Cost.).
1.3.5.– Quanto osservato in questo secondo motivo di ricorso ridonderebbe sulle attribuzioni e sulle competenze di spettanza regionale.
Ricapitolati nuovamente i compiti assegnati alle ASL (non solo l’erogazione dei vaccini, ma anche le funzioni di accertamento e contestazione relative all’adempimento dell’obbligo, la ricezione e l’invio di segnalazioni, l’irrogazione di sanzioni), la Regione osserva che in tal modo si incide sull’organizzazione dei servizi sanitari, parte integrante della materia «tutela della salute», con disposizioni che non possono considerarsi di principio, per il loro contenuto dettagliato (sono citate le sentenze n. 328 e n. 181 del 2006, n. 384 e n. 270 del 2005 e n. 510 del 2002).
Lo stesso varrebbe con riguardo alle disposizioni sulle funzioni dei dirigenti e dei responsabili delle istituzioni di istruzione (in materia di formazione delle classi e segnalazione di quelle con più di due alunni non vaccinati), incidenti sulla competenza concorrente in materia di «istruzione» e su quella residuale in materia di «istruzione e formazione professionale», in particolare sotto il profilo della programmazione scolastica e del dimensionamento della rete delle istituzioni scolastiche sul territorio (sono citate le sentenze n. 147 del 2012, n. 200 del 2009 e n. 34 del 2005), anche con riguardo alle scuole dell’infanzia (è citata la sentenza n. 92 del 2011). Si segnala, in particolare, la difficoltà che potrebbe determinarsi nella formazione delle classi, specie nei Comuni di piccole dimensioni, per la necessità di inserire i minori non vaccinati in classi con tutti gli alunni immunizzati.
1.4.– Con l’ultimo motivo di ricorso, l’art. 1, commi 1, 4 e 5, e gli artt. 3, 4, 5 e 7 del d.l. n. 73 del 2017 sono denunciati per violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost., che ridonda in violazione, anche diretta e autonoma, dell’art. 119, primo e quarto comma, Cost.
Il censurato art. 7 non quantifica oneri aggiuntivi, né dispone coperture, per gli oneri derivanti dalle nuove vaccinazioni rese obbligatorie, in violazione del principio secondo cui non possono essere addossati al bilancio regionale gli oneri derivanti da decisioni non imputabili alla stessa Regione (sono citate, in particolare, le sentenze n. 416 del 1995 e n. 452 del 1989, nonché le sentenze n. 22 del 2012, n. 369 del 1992 e n. 283 del 1991).
1.4.1.– La relazione tecnica al disegno di legge di conversione (XVII Legislatura, A.C. n. 4533) riporta che cinque delle otto vaccinazioni rese obbligatorie erano già incluse nei livelli essenziali di assistenza dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001 (Definizione dei livelli essenziali di assistenza) e che l’obiettivo di copertura vaccinale del 95 per cento era altresì considerato nella relazione tecnica al successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502). Tuttavia, la relazione tecnica al d.P.C.m. 12 gennaio 2017, conformemente agli indirizzi allora stabiliti, prevedeva solo un graduale raggiungimento di questo obiettivo al 2018, termine poi differito (con il PNPV 2017-2019) al 2019.
Soprattutto, la relazione tecnica al disegno di legge di conversione non considera affatto i costi per il recupero dei non vaccinati delle coorti 2001-2016, essendo la copertura limitata ai nati nel 2017.
Inoltre, la stessa relazione tecnica, da un lato, riconosce che gli oneri derivanti dalle vaccinazioni raccomandate nell’ultimo PNPV hanno trovato copertura, per gli anni ivi considerati (2017-2019), nell’art. 1, comma 408, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019). Dall’altro però, riconosce che tale copertura non sussiste per i vaccini anti-meningococco B e anti-varicella, per i quali il d.P.C.m. 12 gennaio 2017 e il PNPV 2017-2019 prevedevano coperture inferiori al 95 per cento (60 per cento nel 2017, 75 per cento nel 2018, la copertura consigliata dall’OMS dal 2019). A questa lacuna la relazione tecnica risponde con ipotesi, ritenute dalla ricorrente irrealistiche e artificiose, circa la riduzione della coorte da vaccinare per il calo demografico, la riduzione del prezzo dei vaccini e la riduzione delle dosi di anti-meningococco B da somministrare per il 2017; e così giunge alla conclusione secondo cui per il 2017 non sussisterebbero oneri aggiuntivi o non coperti, mentre per il 2018 l’onere leggermente maggiore sarebbe compensato dai minori costi degli altri vaccini dipendenti dal calo della popolazione.
Siffatte considerazioni sarebbero aleatorie, in assenza di dati sulla riduzione del prezzo dei vaccini. Al contrario, la Regione ritiene che a suo carico siano stati posti oneri consistenti: stimati in oltre 26,8 milioni di euro, per la somministrazione di 760 mila dosi di vaccini (o in 12 milioni e 600 mila euro, per la somministrazione di 448 mila dosi, se si escludono i nuovi nati nel 2017).
1.4.2.– Occorrerebbe poi considerare i costi amministrativi posti a carico delle istituzioni incaricate di somministrare i vaccini e degli altri apparati regionali coinvolti.
La relazione tecnica li considera nulli, perché già rientranti negli adempimenti istituzionali previsti, tra l’altro, nel PNPV 2017-2019. Ma il Piano non si basava su un obbligo esteso a dodici vaccinazioni (anche in relazione alle coorti 2001-2016), bensì sulla condivisione di un obiettivo tendenziale. Anche considerando un impegno di appena 10 minuti per ciascun medico e comparto (stima, ad avviso della ricorrente, largamente inferiore al verosimile), la spesa relativa al personale ammonterebbe a circa 7 milioni di euro (4 milioni escludendo i nuovi nati).
1.4.3.– Non sono stati, poi, considerati i maggiori oneri connessi al risarcimento dei danni che deriveranno dalla somministrazione delle vaccinazioni divenute obbligatorie.
In proposito, la ricorrente richiama la legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), le pronunce della Corte costituzionale che hanno esteso la platea dei beneficiari (in particolare le sentenze n. 107 del 2012, n. 423 del 2000 e n. 27 del 1998) e le ulteriori integrazioni disposte con le leggi 25 luglio 1997, n. 238 (Modifiche ed integrazioni alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in materia di indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati) e 9 ottobre 2005, n. 229 (Disposizioni in materia di indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie).
La ricorrente ricorda altresì che competenze amministrative e oneri finanziari relativi a questi indennizzi sono stati trasferiti alle Regioni dal 1° gennaio 2001, insieme alle relative risorse dal bilancio dello Stato, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 maggio 2000 (Individuazione delle risorse umane, finanziarie, strumentali ed organizzative da trasferire alle regioni in materia di funzioni di concessione dei trattamenti economici a favore degli invalidi civili, ai sensi dell’art. 130 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112). Tali risorse sono state successivamente rideterminate con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 8 gennaio 2002 e 24 luglio 2003 (recanti, entrambi, «Rideterminazione delle risorse finanziarie da trasferire alle regioni e agli enti locali per l’esercizio delle funzioni conferite dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, in materia di salute umana e sanità veterinaria»). Inoltre, ai sensi dell’art. 1, comma 586, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», le Regioni sono tenute ad anticipare gli indennizzi agli aventi diritto, in attesa dei trasferimenti dallo Stato.
Il d.l. n. 73 del 2017 omette ogni considerazione di questi profili, pur a fronte dell’imponente estensione dell’obbligo vaccinale, ed espone la Regione all’obbligo di anticipare le relative somme, senza garantire adeguate restituzioni da parte dello Stato.
1.5.– La ricorrente chiede, ai sensi del vigente art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), che sia sospesa l’esecuzione degli artt. 1, 3, 4, 5 e 7 del d.l. n. 73 del 2017.
Sarebbe evidente l’imminenza di un danno irreparabile ai diritti dei cittadini e all’interesse pubblico, qualora l’applicazione delle nuove norme statali travolgesse il differente percorso avviato sin dal 2007 dalla Regione Veneto. In particolare, qualora l’udienza si svolgesse dopo l’inizio dell’anno scolastico, si verificherebbero ripercussioni sul principio di autodeterminazione della persona in materia di trattamenti sanitari, in assenza di accertamenti idonei a prevedere e prevenire le possibili complicanze.
2.– Con atto depositato il 22 agosto 2017 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che le questioni di legittimità costituzionale sollevate con il ricorso siano dichiarate inammissibili o infondate.
2.1.– Premessa una sintesi dei contenuti principali del d.l. n. 73 del 2017 e del ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che la legge di conversione – legge 31 luglio 2017, n. 119 – è intervenuta su numerose disposizioni, rimodulando la disciplina originaria, ma lasciandone inalterato l’impianto complessivo.
Rimarcata l’importanza sanitaria delle vaccinazioni e della loro obbligatorietà, come strumento per la diffusione delle stesse, la difesa statale ricorda le quattro vaccinazioni obbligatorie già prima del decreto-legge in questione, nonché l’art. 47 del d.P.R. 22 dicembre 1967, n. 1518 (Regolamento per l’applicazione del titolo III del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 1961, n. 264, relativo ai servizi di medicina scolastica), che imponeva, all’atto dell’iscrizione scolastica, la presentazione delle certificazioni attestanti le vaccinazioni, pena il rifiuto dell’iscrizione. L’obbligo vaccinale era, inoltre, presidiato da sanzioni penali a carico dei genitori inadempienti.
Tali previsioni hanno portato la copertura vaccinale a raggiungere, negli anni Novanta del secolo XX, il livello del 95 per cento per difterite, tetano e pertosse e del 98 per cento per la poliomielite, e hanno determinato la scomparsa di alcune malattie. Proprio per questo, però, è diminuita la percezione della pericolosità del contagio e si sono diffusi movimenti di opinione contrari alle vaccinazioni.
Si sarebbe così giunti a escludere che la vaccinazione costituisse requisito per l’iscrizione alla scuola, segnatamente con l’art. 1 del d.P.R. 26 gennaio 1999, n. 355 (Regolamento recante modificazioni al D.P.R. 22 dicembre 1967, n. 1518, in materia di certificazioni relative alle vaccinazioni obbligatorie). Benché fossero rimasti in vigore gli obblighi, in capo ai direttori delle scuole e ai capi degli istituti di istruzione, di controllare le avvenute vaccinazioni all’atto dell’iscrizione e di rivolgere, altrimenti, segnalazioni alle amministrazioni sanitarie, tali obblighi rimasero largamente disattesi, come quello dei sanitari di segnalare gli inadempimenti all’autorità giudiziaria (ai fini dell’eventuale adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 330 e seguenti del codice civile). Inoltre, l’intervenuta depenalizzazione degli obblighi vaccinali e l’esiguità delle sanzioni amministrative hanno determinato un sostanziale «desanzionamento» dell’inosservanza.
Contemporaneamente, il Piano sanitario nazionale 1998-2000 ha affermato l’importanza di adeguate coperture non solo per i vaccini obbligatori, ma anche per quelli raccomandati, ritenuti altrettanto efficaci per la tutela della salute individuale e collettiva. Anche le vaccinazioni raccomandate (ad esempio, contro pertosse, morbillo, parotite, rosolia e infezioni da Hib e meningococco C) furono inserite nel calendario vaccinale. In seguito, nonostante la formale distinzione tra vaccinazioni obbligatorie e raccomandate, tutte furono considerate in modo sostanzialmente uguale nei documenti di programmazione, per la loro uguale utilità.
Il PNPV 2017-2019 – che mira all’armonizzazione delle strategie vaccinali nel Paese e a estendere a tutti i benefici della vaccinazione, attraverso l’equità nell’accesso a vaccini di elevata qualità e servizi eccellenti di immunizzazione – evidenzia che il successo dei programmi vaccinali si fonda sia sulla protezione del singolo, sia sul raggiungimento e sul mantenimento di coperture complete nella popolazione. Inoltre, per assicurare a tutti, compresi gli stranieri, pari accesso a questa opportunità di salute, i vaccini sia obbligatori sia raccomandati contemplati nel calendario del predetto Piano nazionale sono stati inseriti nel d.P.C.m. 12 gennaio 2017.
2.2.– Il primo motivo di ricorso è, ad avviso della difesa statale, infondato.
2.2.1.– Esso si baserebbe sulla confusione tra i presupposti della decretazione d’urgenza, ai sensi dell’art. 77 Cost., e quelli dei poteri di ordinanza, di cui all’art. 117 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) o all’art. 54 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). Il secondo ordine di poteri riguarda, di regola, situazioni (bensì straordinarie e imprevedibili, ma anche) episodiche, intense e, solitamente, a diffusività limitata. Questi caratteri non ricorrono allorché, come nel caso in esame, il declino della copertura vaccinale ha evidenziato l’insorgere di un’emergenza sanitaria che imponeva il recupero a livello nazionale dei precedenti livelli di immunizzazione ed esigeva l’approntamento di misure e strumenti idonei allo scopo, organici e coordinati, oltre che sensibili a tutte le implicazioni sanitarie, sociali e umane.
2.2.2.– La difesa statale si sofferma, quindi, sui movimenti di opinione contrari alle vaccinazioni e sul clima di diffidenza venutosi a creare, verosimilmente, a causa di scarsa informazione, nonché del «disorientamento creato dalle differenze esistenti tra le varie regioni e, addirittura, tra le aziende sanitarie locali della stessa regione». Ne è conseguito il calo della copertura al di sotto della soglia del 95 per cento, raccomandata dall’OMS ai fini della “immunità di gregge”.
Ciò risulta in particolare in relazione al vaccino contro la poliomielite (che, essendo incluso nel cosiddetto vaccino esavalente, è indicativo delle coperture anche contro epatite B, difterite, Hib, pertosse e tetano), nettamente in calo dal 2014, anno delle rilevazioni sui nati nel 2012, per i quali anche la copertura contro morbillo e rosolia è scesa, tra il 2013 e il 2015, dal 90,4 all’85,3 per cento (mettendo anche a rischio gli obiettivi di eliminazione delle due malattie condivisi dall’Ufficio regionale per l’Europa dell’OMS).
Attualmente è in corso, in Italia, una vera e propria epidemia di morbillo, che ha causato 3.840 casi e tre decessi (secondo dati dell’ISS aggiornati al 25 luglio). Osservando la curva epidemiologica di questa malattia dal 1955, si nota come, non essendosi raggiunto l’obiettivo di copertura, il numero dei casi è diminuito, ma resta alto, con nuovi picchi ogni tre-cinque anni: una situazione che avrebbe potuto essere evitata con una copertura adeguata. Calcolando (sulla base degli stessi dati) l’incidenza della malattia su ciascuna fascia di età (in relazione al numero delle persone che vi rientrano), l’incidenza stessa appare massima tra i bambini con meno di un anno, più esposti a gravi complicazioni, e molto alta tra quelli di età compresa fra uno e quattro anni, tra i quali rientrano molti bambini non vaccinati.
Da qui discenderebbero la necessità e l’urgenza di un provvedimento con efficacia immediata, che innalzasse, in termini cogenti e obbligatori, la copertura di coloro che cominciano a frequentare asili e scuole, per interrompere la circolazione del patogeno.
Inoltre, il morbillo è una malattia cosiddetta epifanica: si manifesta prima della comparsa di altre malattie. Invero, in Italia sarebbero recentemente ricomparse malattie da tempo debellate, anche a causa dei fenomeni migratori, in fasce diverse da quelle classiche, con quadri clinici più gravi e maggiore ospedalizzazione, talora con ritardi nella diagnosi e conseguenti rischi di contagio. Né sarebbe trascurabile la frequenza delle infezioni da rosolia in donne gravide, talora con esiti drammatici.
Le già citate statistiche pubblicate dall’OMS il 17 maggio 2017 dimostrerebbero il basso livello di copertura vaccinale in Italia. La stessa organizzazione internazionale, nel giugno 2017, si è rivolta ai membri della Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica per esprimere la propria preoccupazione per i casi di morbillo e di altre malattie prevenibili sul territorio nazionale. Posizioni analoghe sono state assunte dall’I SS e dalle principali società scientifiche.
2.2.3.– La difesa statale critica, quindi, la tesi della ricorrente – ritenuta riduttiva – secondo cui un’emergenza sanitaria si configura solo quando la copertura scende al di sotto della soglia critica di copertura. Il valore del 95 per cento è l’obiettivo (non la soglia ottimale) indicato dall’OMS considerando sia la soglia critica (basata sul grado di contagiosità), sia altri parametri rilevanti (ad esempio, densità e mobilità della popolazione). Per questo anche il PNPV 2017-2019 fa riferimento all’obiettivo del 95 per cento. La stessa soglia critica, d’altra parte, si basa sulla presunzione di un’omogeneità della copertura, mentre nella realtà la situazione varia da regione a regione e, inoltre, varia anche all’interno della singola Regione, al di là dei dati medi.
Dunque, sotto la soglia critica il rischio epidemico è altissimo e l’emergenza gravissima, sì da giustificare l’uso dei poteri di ordinanza. Ma, sotto la soglia obiettivo, sussistono comunque un rischio alto e un’emergenza grave, tali da giustificare la decretazione d’urgenza.
Nemmeno risponde al vero che la soglia per l’“immunità di gregge” sia stata fissata dall’OMS al 95 per cento solo per il complesso DTP. Per il tetano, la vaccinazione è di grande importanza e la copertura dovrebbe essere totale. Per il morbillo, l’OMS ritiene necessaria una copertura vaccinale almeno del 95 per cento, mirando all’eliminazione della malattia. Per tutte le malattie, poi, oltre alla soglia critica, occorre considerare il cosiddetto accumulo dei suscettibili, ossia il sommarsi di anno in anno di nuove generazioni di persone non vaccinate, il cui totale può raggiungere livelli tali da scatenare, in presenza della malattia, un’epidemia. Del resto, la teoria della copertura “di gregge” presuppone una distribuzione omogenea della copertura vaccinale, mentre quest’ultima, nella realtà, varia nei diversi ambiti geografici e sociali (talora anche da Comune a Comune, o da scuola a scuola, secondo le propensioni dei singoli pediatri attivi sul territorio).
2.2.4.– A fronte di quanto la ricorrente riferisce sulla propria situazione, la difesa statale osserva che, anzitutto, il decreto-legge intende intervenire sull’intero territorio nazionale e non solo in Veneto.
Inoltre, il modello veneto, a dieci anni dalla sua introduzione, non ha dato i risultati sperati. Secondo la difesa statale, dal monitoraggio sulla vaccinazione anti-poliomielite risulta che, in primo luogo, le coperture in Veneto sono calcolate escludendo i soggetti non raggiungibili e per questo risultano superiori alla «stima grezza» effettuata dalle altre Regioni. In secondo luogo, sia per la poliomielite, sia per il morbillo risultano comunque significative perdite di copertura, con il riscontro di modesti recuperi solo sulla base dei dati per la coorte 2014 e di quelli, non definitivi, per la coorte 2015. Del resto, se davvero, come afferma la Regione, l’applicazione del decreto-legge richiedesse l’acquisto di 760 mila dosi di vaccino, dovrebbe concludersi che in Veneto la maggior parte dei minori non è stata vaccinata negli ultimi anni; e il riequilibrio dovrebbe avvenire in tempi molto più brevi di quelli con i quali, solo di recente, la Regione ha conseguito qualche successo nel recupero delle coperture. L’epidemia di morbillo è presente anche in Veneto, dove dall’inizio dell’anno sono state contagiate 244 persone.
2.2.5.– In conclusione, il ricorso alla decretazione d’urgenza sarebbe giustificato dalla diminuzione delle coperture vaccinali, comprese quelle per le quali in passato erano stati raggiunti ottimi risultati; dai rischi connessi alla riapertura delle scuole; dalla necessità di adeguare i servizi sanitari alla nuova strategia; dal lungo tempo necessario perché altri strumenti, come le campagne informative, sortiscano i loro effetti; dall’urgenza, rappresentata anche dall’OMS e dalle società scientifiche, di contenere immediatamente il rischio epidemico, soprattutto per proteggere coloro per cui la vaccinazione è impossibile o inefficace. Tutto ciò risulterebbe dalla stessa motivazione del d.l. n. 73 del 2017.
In termini generali, non è possibile individuare con certezza quali siano le azioni più opportune per reagire al declino delle coperture vaccinali. Tutto dipende dalle peculiarità del contesto socio-culturale e dall’organizzazione sanitaria. Per questo, non sussiste contraddizione tra l’obbligo vaccinale e «lo strumento programmatorio per eccellenza in materia di prevenzione vaccinale, basato sulla “raccomandazione”»: sia il PNPV 2017-2019, sia il d.l. n. 73 del 2017 condividono il comune obiettivo di prevenzione, pur essendo il frutto di due approcci differenti.
2.3.– Infondato sarebbe altresì il secondo motivo di ricorso, cui la difesa statale replica iniziando dai profili attinenti al riparto delle competenze legislative, nella prospettiva dell’art. 117 Cost.
2.3.1.– Il preambolo e l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 73 del 2017 dimostrerebbero che quest’ultimo è espressione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «profilassi internazionale» (art. 117, secondo comma, lettera q, Cost.), esercitata in conformità all’ordinamento comunitario e agli obblighi internazionali (art. 117, primo comma, Cost.). Rileverebbero, a tale proposito, gli impegni assunti dall’Italia in seno all’OMS, in particolare in relazione al Piano globale di eliminazione del morbillo e della rosolia elaborato per l’area europea; la Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, che obbliga gli Stati contraenti ad adottare le misure legislative e amministrative necessarie a un’adeguata protezione della salute dei minori; l’art. 168, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130 (TFUE), che impegna l’Unione europea a completare le politiche nazionali per garantire un elevato livello di protezione della salute umana, anche mediante la prevenzione.
Un ulteriore titolo di intervento statale si fonda sull’art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.: tutte le vaccinazioni previste come obbligatorie sono state inserite non solo nel PNPV 2017-2019, ma anche nei livelli essenziali dell’assistenza sanitaria di cui al d.P.C.m. 12 gennaio 2017.
Soprattutto, il decreto è motivato da esigenze di «tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost.), che richiedono, attraverso la fissazione di principi fondamentali della materia, «un esercizio accentrato, unitario e coordinato della funzione», per evitare disomogeneità nella copertura. Per questo sono state dettate «regole generali ed uniformi destinate a valere per tutti e su tutto il territorio nazionale», peraltro senza ingerenze nell’organizzazione dei servizi sanitari, che ciascuna Regione adeguerà autonomamente.
In proposito, si aggiunge che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera a, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), e dell’art. 115, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 112 del 1998, lo Stato è competente ad adottare, in materia di tutela della salute, «piani di settore aventi rilievo ed applicazione nazionali», previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni. Così è avvenuto, tra l’altro, anche per il più volte citato PNPV 2017-2019, che impegna le Regioni a perseguire gli obiettivi ivi previsti, nell’esercizio delle loro competenze in materia di profilassi delle malattie infettive e diffusive e di approvvigionamento dei vaccini necessario allo scopo (ai sensi dell’art. 114 del d.lgs. n. 112 del 1998, nonché dell’art. 7, comma 1, lettera a, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, «Istituzione del servizio sanitario nazionale»). Né potrebbe contestarsi le competenze del Ministero della salute in relazione, tra l’altro, a indirizzi generali e coordinamento delle attività di prevenzione, definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, coordinamento del Sistema sanitario nazionale, programmazione tecnico-sanitaria nazionale, indirizzo e monitoraggio dell’erogazione delle prestazioni in ambito regionale.
Infine, con riguardo all’ambito dell’istruzione, lo Stato è titolare della competenza esclusiva a fissare «norme generali», che hanno contenuto diverso da quelle lato sensu organizzative, corrispondono a esigenze unitarie e uniformi, e possono anche esaurire in se stesse la propria operatività, diversamente dai principi fondamentali (sono citate, in proposito, le sentenze della Corte costituzionale n. 279 e n. 120 del 2005). Il censurato art. 4 (sull’inserimento scolastico dei minori non vaccinati) fa espressamente salve tutte le disposizioni in vigore, riguardanti il numero delle classi e, lungi dal violare il diritto all’istruzione, è volto a garantirlo, riducendo l’esposizione del più vulnerabili. Anche la disciplina dei servizi dell’infanzia ricadrebbe prevalentemente nella materia dell’«istruzione» (è citata in proposito la sentenza n. 467 del 2002).
2.3.2.– Il cuore delle censure regionali riguarda l’asserita incompatibilità con l’art. 32 Cost., il quale comporta il diritto di scegliere se, quando e come curarsi e, quindi, anche il diritto di non curarsi e, per quanto qui interessa, di rifiutare la vaccinazione.
La difesa statale non nega questa libertà, ma osserva che anch’essa, come tutte le altre, incontra il limite dell’altrui diritto: nel caso, dell’altrui diritto alla salute, nella dimensione individuale e sociale. Questo limite, quando viene in rilievo, normalmente richiede un equo e ragionevole contemperamento tra i diritti contrapposti; ma può anche, «in caso di accertata incompatibilità e con le dovute garanzie, comportare la compressione o, comunque, la limitazione del diritto individuale», come stabilito dallo stesso art. 32 Cost. nel suo secondo comma. Di questi principi ha fatto più volte applicazione la Corte costituzionale (è richiamata in particolare la sentenza n. 258 del 1994, insieme ai precedenti ivi citati e alla successiva sentenza n. 107 del 2012), ritenendo l’obbligo vaccinale costituzionalmente legittimo, perché esso tutela la salute sia individuale sia collettiva e perché il sacrificio dell’autodeterminazione di ciascuno si giustifica proprio e solo in presenza di rischi per gli altri.
Per quanto riguarda il numero e la tipologia delle vaccinazioni divenute obbligatorie, ritenuti irragionevoli dalla ricorrente, la difesa statale osserva, anzitutto, che la legge di conversione ha ridotto il numero da dodici a dieci e ha modulato l’obbligatorietà nel tempo (art. 1, comma 1-ter, del d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017).
Comunque, per le dodici vaccinazioni di cui all’originario d.l. n. 73 del 2017 (e per altre ancora) era già prevista l’offerta attiva e gratuita nel calendario vaccinale della Regione Veneto (delibera della Giunta regionale 26 agosto 2014, n. 1564, «Approvazione Nuovo “Calendario Vaccinale” della Regione del Veneto. Parziale modifica della D.G.R. n. 411 del 26.02.2008, approvazione documento “Offerta vaccinazioni soggetti a rischio”, approvazione “Programma di formazione per gli operatori sanitari”, approvazione documento “Piano di comunicazione a sostegno delle malattie infettive prevenibili con vaccino”»). È dunque pretestuoso criticare l’obiettivo di raggiungere adeguati livelli di copertura in relazione a queste vaccinazioni. In effetti, il d.l. n. 73 del 2017 si è limitato a estendere l’obbligo, previsto per alcune vaccinazioni, ad altre per le quali già in precedenza, nei vari piani vaccinali nazionali succedutisi negli anni, era stata introdotta l’offerta gratuita ed attiva e che, per questo, da ultimo, sono state previste sia nel più recente piano nazionale, sia nei livelli essenziali di assistenza.
Dunque, il problema si riduce alla scelta di rendere queste vaccinazioni obbligatorie, per fronteggiare il calo delle coperture e l’insorgenza di focolai epidemici di morbillo, a tutela soprattutto di chi non può vaccinarsi ed è, quindi, esposto e indifeso rispetto al contagio. È questa una «scelta di politica sanitaria» che «attiene alla sovrana discrezionalità del Governo e del Parlamento nella valutazione delle urgenze e delle emergenze sanitarie e nella conseguente individuazione delle misure più adatte a fronteggiarle», nell’esercizio di competenze sugli indirizzi generali di politica nazionale in materia sanitaria, che sono riservate allo Stato e non possono essere sindacate dalle Regioni.
Ciò è tanto più vero, in quanto la legge di conversione ha introdotto (all’art. 1, comma 1-ter, del d.l. n. 73 del 2017) il potere del Ministro della salute di disporre la cessazione dell’obbligatorietà per alcune delle vaccinazioni contemplate, in base alla verifica dei dati epidemiologici, delle eventuali reazioni avverse e delle coperture raggiunte.
Nemmeno è vero che il numero di vaccinazioni rese obbligatorie è il più elevato al mondo: «molti Paesi prescrivono infatti come obbligatorie quasi tutte le vaccinazioni previste nei rispettivi calendari vaccinali, mentre altri, come l’Italia, adottano invece un sistema misto basato in parte sull’obbligo e in parte sulla raccomandazione». La scelta delle vaccinazioni da offrire e, a maggior ragione, di quelle da imporre dipende da una pluralità di fattori. In Italia, «in questo momento e con urgenza», la necessità di rafforzare il preesistente obbligo vaccinale «deriva sia da nuove emergenze sanitarie – quale l’epidemia di morbillo in corso – sia dal concomitante calo generalizzato delle coperture per quasi tutte le vaccinazioni previste dal calendario». Del resto, proprio nell’ottica di bilanciare i principi costituzionali in gioco, secondo canoni di ragionevolezza e proporzionalità, l’obbligo è stato limitato alle sole malattie con più alto rischio epidemico.
Per quanto riguarda il principio di precauzione, non solo non sarebbe violato dalle norme in questione ma, al contrario, esse costituirebbero «emblematica applicazione» di esso e, ancor prima, del principio di prevenzione: la vaccinazione obbligatoria è la misura di sanità pubblica più idonea ad annullare o ridurre i rischi individuali e collettivi connessi alla diffusione delle malattie, soprattutto infettive.
Manifestamente infondata è poi la censura della Regione Veneto secondo cui mancherebbe un adeguato sistema di farmacovigilanza e non sussisterebbero accertamenti diagnostici preventivi idonei ad anticipare ed evitare i rischi di complicanze.
In proposito, la difesa statale richiama, in primo luogo, il sistema di farmacovigilanza che fa capo all’Autorità italiana per il farmaco (AIFA) – si fa riferimento, al riguardo, al decreto ministeriale 30 aprile 2015, recante «Procedure operative e soluzioni tecniche per un’efficace azione di farmacovigilanza adottate ai sensi del comma 344 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Legge di stabilità 2013)» – e all’ISS: la prima competente in materia di ritiri e sospensioni di lotti di vaccini, nonché di modifiche agli stampati interni; il secondo, al controllo dei vaccini vivi e dei medicinali immunologici prima della distribuzione – si fa riferimento, al riguardo, all’art. 138 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, «Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE». In secondo luogo, l’Avvocatura generale dello Stato ricorda la sperimentazione che precede l’immissione in commercio di qualsiasi farmaco e le funzioni di monitoraggio dell’AIFA, attraverso la Rete nazionale di farmacovigilanza.
A ciò si sono aggiunte le speciali previsioni contenute nel d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017, concernenti le relazioni annuali dell’AIFA al Ministero della salute, sui risultati della farmacovigilanza e sugli eventi avversi di cui è confermata l’associazione ai vaccini (art. 1, comma 3-bis), nonché l’Anagrafe nazionale vaccini (art. 4-bis).
La difesa dello Stato considera quindi il profilo di censura in cui è menzionata la sentenza n. 258 del 1994, per lamentare la mancata previsione di accertamenti preventivi idonei a prevenire le possibili complicanze.
È vero che questa sentenza – pur riconoscendo l’impossibilità di sostituirsi al legislatore in proposito – aveva giudicato necessario «porre in essere una complessa e articolata normativa di carattere tecnico […] che, alla luce delle conoscenze scientifiche acquisite, individuasse con la maggiore precisione possibile le complicanze potenzialmente derivabili dalla vaccinazione, e determinasse se e quali strumenti diagnostici idonei a prevederne la concreta verificabilità fossero praticabili su un piano di effettiva fattibilità». Al tempo stesso, «per evitare che la prescrizione indiscriminata e generalizzata di tutti gli accertamenti preventivi possibili, per tutte le complicanze ipotizzabili e nei confronti di tutte le persone da assoggettare a tutte le vaccinazioni oggi obbligatorie rendesse di fatto praticamente impossibile o estremamente complicata e difficoltosa la concreta realizzabilità dei corrispondenti trattamenti sanitari», la sentenza aveva indicato di «fissare standards di fattibilità che nella discrezionale valutazione del legislatore potrebbero dover tenere anche conto del rapporto tra costi e benefici, eventualmente stabilendo criteri selettivi in ordine alla utilità – apprezzata anche in termini statistici – di eseguire gli accertamenti in questione».
A distanza di più di vent’anni da quella pronuncia, l’evoluzione scientifica, da un lato, ha consentito di raggiungere un livello di sicurezza vaccinale elevatissimo, non paragonabile a quello del 1994; dall’altro, ha dimostrato l’impossibilità di predire gli effetti collaterali della vaccinazione sui singoli. Le controindicazioni alle formulazioni vaccinali sono indicate nelle note tecniche e nelle circolari esplicative: a esse la prassi medica fa riferimento per escludere, in via temporanea o permanente, taluni dalla vaccinazione.
In conclusione, secondo la difesa statale, il decreto-legge impugnato contempera nel modo migliore tutti i diritti e gli interessi generali coinvolti, assicurandone un continuo e vicendevole bilanciamento.
Per quanto riguarda il diritto all’istruzione e allo studio, nei gradi superiori alla scuola dell’infanzia, dove meno pressanti sono le esigenze di tutela della salute dei non vaccinati, la presentazione della documentazione vaccinale non è condizione di accesso alla scuola o agli esami. E ciò benché, prima del 1999, nessuno abbia mai messo in discussione la legittimità costituzionale dell’art. 47 del d.P.R. n. 1518 del 1967, già ricordato sopra.
Per quanto riguarda il diritto dei genitori all’educazione della prole, esso non può andare disgiunto dal «potere-dovere dello Stato e delle istituzioni pubbliche di tutelare la salute dei minori», se occorre anche contro la volontà dei genitori, quando si concretizzi in condotte pregiudizievoli alla salute dei figli. È citata, al riguardo, la giurisprudenza di legittimità (Cassazione, sezione prima, 8 luglio 2005, n. 14384, e 18 luglio 2003, n. 11226) secondo cui il dovere del genitore di tutelare la salute del figlio non può concretizzarsi nella negazione dell’obbligo vaccinale per convinzioni proprie o timori generici, ma solo nella prospettazione di ragioni specifiche che facciano temere controindicazioni rispetto alla salute fisica del soggetto da vaccinare. Nello stesso senso è la giurisprudenza consultiva del Consiglio di Stato (parere 16 luglio 1997, n. 144). Tutti i genitori, peraltro, continueranno a esser debitamente informati, come del resto già prevedeva il PNPV 2017-2019, anche attraverso le iniziative specificamente previste all’art. 2 del d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017.
2.4.– Infondato sarebbe altresì l’ultimo motivo di ricorso, incentrato sulla mancata copertura dei maggiori oneri finanziari connessi alle vaccinazioni divenute obbligatorie e agli adempimenti conseguentemente posti a carico delle amministrazioni regionali.
2.4.1.– In proposito, la difesa statale si riporta a quanto previsto già prima del decreto-legge censurato. Sia le quattro vaccinazioni già allora obbligatorie, sia quelle contro morbillo, parotite, rosolia, pertosse e Hib sono ricomprese nei livelli essenziali di assistenza sin dal 2001.
Lo stanziamento per l’anti-meningococcica C, per i minori nati dal 2012, è quello relativo alla «Intesa, ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sul documento recante “Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2012-2014”».
«Inoltre, per le ulteriori vaccinazioni obbligatorie, che, ai sensi del comma 1 dell’art. 1 del decreto, riguardano i soli nati dal 2017 (anti-meningococco B e anti-varicella), visto che l’obbligatorietà è riferita alle indicazioni contenute nel Calendario allegato al Piano nazionale di prevenzione vaccinale 2017-2019, l’intervento normativo afferisce agli stanziamenti previsti dall’art. 1, comma 408, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (cfr. relazione tecnica al citato d.P.C.m. 12 gennaio 2017», i quali si riferiscono sia all’anno 2017, sia al 2018.
Gli oneri stimati già si basavano su un obiettivo di copertura del 95 per cento, da considerare prudenziale tenuto conto delle esclusioni per i minori già immunizzati o non vaccinabili. Solo per anti-meningococco B e varicella erano stabiliti obiettivi percentuali inferiori.
Ciò posto, ai fini del d.l. n. 73 del 2017 sono stati aggiornati e rideterminati i parametri posti a base della relazione tecnica del d.P.C.m. 12 gennaio 2017. In questa relazione, si era tenuto conto della popolazione dei nati nel 2013 e dei prezzi medi dei vaccini in quello stesso anno. Ai fini del d.l. n. 73 del 2017, si è tenuto conto della diminuzione dei nati vivi dal 2013 al 2016; del calo dei prezzi medi dei vaccini stimato sula base dei dati relativi alle gare effettuate nel 2016; della riduzione del numero di dosi di anti-meningococco B da somministrare nel 2017 (solo tre, la quarta dovendo essere somministrata nel 2018). Di conseguenza, nel 2017 non ci sono nuovi oneri per l’anti-varicella, mentre quelli per l’anti-meningococco B, nonostante l’incremento dell’obiettivo di copertura, sono coerenti con la copertura già esistente. Per il 2018, gli oneri leggermente maggiori sono compensati dal calo dei prezzi dei vaccini e della popolazione da vaccinare.
Inoltre, ulteriori cali nel prezzo dei vaccini potranno derivare dalle leggi del mercato, da meccanismi negoziali correlati all’incremento della copertura e dall’inclusione di questi medicinali nelle categorie di cui al d.P.C.m. 24 dicembre 2015 (Individuazione delle categorie merceologiche ai sensi dell’articolo 9, comma 3 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, unitamente all’elenco concernente gli oneri informativi) e, quindi, nelle procedure di acquisto centralizzate da parte dei soggetti aggregatori di riferimento regionali.
La Ragioneria generale dello Stato, nel parere inoltrato alla Conferenza Stato-Regioni e alla Conferenza Stato-Città ed autonomie locali (Conferenza unificata) in data 6 luglio 2017, ha chiarito che le risorse per le vaccinazioni di cui al d.l. n. 73 del 2017 sono state annualmente erogate alle Regioni, in coerenza con i piani vaccinali avvicendatisi nel tempo, sicché le Regioni già avrebbero dovuto assicurare una copertura, di norma pari al 95 per cento, per ciascuna coorte e per ciascun vaccino.
Comunque, in seguito alla conversione del d.l. n. 73 del 2017, i vaccini anti-meningococco B e C non sono più obbligatori, il che necessariamente farà diminuire gli oneri finanziari.
2.4.2.– Per quanto poi riguarda gli oneri a carico delle amministrazioni sanitarie, essi non aumenteranno, perché le prestazioni erano già previste nel PNPV 2017-2019, che fissava l’obiettivo di copertura del 95 per cento, salvo che per anti-varicella e anti-meningococcica B, come detto. L’intervenuta soppressione dell’obbligo di segnalazione alla procura della Repubblica presso il tribunale dei minorenni fa vanire meno uno degli adempimenti inizialmente previsti. Inoltre, l’aumento della copertura vaccinale determinerà una minore diffusione delle patologie e, quindi, un contenimento della spesa sanitaria.
Quanto poi agli indennizzi di cui alla legge n. 210 del 1992 – espressamente richiamata dall’art. 5-quater del d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017 – essi sarebbero stati comunque dovuti, in applicazione di quello che è un principio generale dell’ordinamento, riconosciuto anche dalla giurisprudenza costituzionale, con riguardo alle vaccinazioni sia obbligatorie, sia raccomandate. Dato che gli obiettivi di copertura perseguiti sono gli stessi del più recente piano vaccinale, non può ritenersi che l’estensione dell’obbligo comporti incrementi sensibili degli oneri per indennizzi.
2.5.– L’istanza di sospensione, avanzata dalla difesa regionale, sarebbe inammissibile e infondata, anche alla luce del fatto che il decreto-legge è stato convertito con modificazioni. Il termine per la presentazione della documentazione vaccinale alle istituzioni scolastiche è stato differito dal 10 settembre al 31 ottobre. Comunque, sarebbe preminente l’interesse pubblico al rapido recupero di un’adeguata copertura vaccinale.
3.– Sono intervenuti l’associazione «Aggregazione Veneta – Aggregazione delle associazioni maggiormente rappresentative degli enti ed associazioni di tutela della identità, cultura e lingua venete», nonché L. P., con atto depositato il 2 agosto 2017; la «Associazione per Malati Emotrasfusi e Vaccinati» (AMEV), con atto depositato il 29 agosto 2017; e le associazioni CODACONS e «Articolo 32 – Associazione italiana per i diritti del malato» (AIDMA), con atto depositato il 29 agosto 2017.
Gli intervenienti hanno chiesto l’accoglimento del ricorso. AMEV, CODACONS e AIDMA hanno altresì chiesto la sospensione delle disposizioni censurate.
4.– Con ricorso notificato il 14-15 settembre 2017 e depositato il 21 settembre 2017 (r.r. n. 75 del 2017), la Regione Veneto ha impugnato il d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017, sia nella sua interezza, sia nell’art. 1, commi 1, 1-bis, 1-ter, 2, 3, 4 e 6-ter, e negli artt. 3, 3-bis, 4, 5, 5-quater e 7.
La legge di conversione non avrebbe rimosso le disposizioni lesive dell’autonomia regionale, né le avrebbe modificate in misura tale da farne venire meno la lesività.
4.1.– La ricorrente riassume nuovamente le finalità e i contenuti del decreto-legge, come convertito.
I riferimenti, nel preambolo, agli «obblighi assunti» e alle «strategie concordate a livello europeo e internazionale», nonché agli «obiettivi comuni fissati nell’area geografica europea», sarebbero oscuri: l’European Vaccine Action Plan 2015-2020, emanato dalla sezione europea dell’OMS, non prevede l’introduzione di alcun obbligo vaccinale e si basa sull’informazione e la responsabilizzazione del cittadino. Non sussisterebbe, dunque, alcuna connessione con la materia della «profilassi internazionale».
L’art. 1 prevede ora l’obbligatorietà e la gratuità, per i minori tra zero e sedici anni e per tutti i minori stranieri non accompagnati, di dieci (non più dodici) vaccinazioni: al comma 1, le vaccinazioni contro poliomielite, difterite, tetano, epatite B, pertosse, Hib; al comma 1-bis, quelle contro morbillo, rosolia, parotite e varicella. Per le vaccinazioni di cui al comma 1-bis, è ora prevista (comma 1-ter), in esito a verifiche e procedure contestualmente disciplinate, la possibilità per il Ministro della salute di disporre la cessazione dell’obbligatorietà, decorsi tre anni dall’entrata in vigore della legge e, poi, con cadenza triennale.
L’obbligo è escluso (commi 2 e 3) in caso di avvenuta immunizzazione a seguito di malattia naturale, nonché di pericolo per la salute in relazione a specifiche condizioni cliniche, documentate nei modi stabiliti.
Il sistema di controlli e sanzioni è disciplinato dall’art. 1, comma 4. In caso di inosservanza dell’obbligo vaccinale, genitori esercenti la responsabilità genitoriale, tutori e affidatari sono convocati dalla ASL per un colloquio con finalità di informazione e sollecitazione (primo periodo). L’inosservanza comporta comunque una sanzione pecuniaria, il cui importo è ora da 100 a 500 euro (secondo periodo). Rimane previsto che la ASL contesti ai responsabili l’inosservanza e indichi un termine per provvedere (terzo periodo). Per l’accertamento, la contestazione e l’irrogazione delle sanzioni si fa rinvio (quarto periodo) alle norme, in quanto compatibili, di cui Capo I, Sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), e si demanda alla normativa delle Regioni e delle Province autonome l’individuazione degli organi competenti (quinto periodo).
L’art. 1, comma 6-ter, assegna alla «Commissione per il monitoraggio dell’attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, istituita con decreto del Ministro della salute 19 gennaio 2017», il compito di verificare il rispetto degli obiettivi del calendario vaccinale nazionale e di individuare, in mancanza, congrui strumenti e procedure, prevedendo altresì – in caso di specifici rischi per la salute pubblica – l’esercizio di poteri sostitutivi da parte del Governo a norma dell’art. 120 Cost. e secondo le procedure di cui all’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).
L’art. 3 disciplina la presentazione della documentazione sulle vaccinazioni (o sulle condizioni per l’esenzione dall’obbligo) all’atto dell’iscrizione dei minori alle istituzioni di istruzione, educazione e formazione professionale (comma 1) e prevede che i responsabili di queste istituzioni segnalino le eventuali mancanze alle ASL (comma 2). La presentazione di tale documentazione è requisito di accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia, ma non condiziona l’accesso alle scuole di altri gradi o ai centri di formazione professionale, né ai relativi esami (comma 3).
Entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione, gli operatori scolastici, sanitari e socio-sanitari presentano agli istituti scolastici e alle ASL dichiarazioni sostitutive comprovanti le proprie situazioni vaccinali (art. 3, comma 3-bis).
L’art. 3-bis introduce una nuova e articolata procedura, applicabile dall’anno scolastico 2019-2020 e dal calendario relativo allo stesso periodo dei servizi educativi per l’infanzia e dei corsi presso i centri di formazione professionale regionale. La procedura prevede che: entro il 10 marzo, i dirigenti scolastici e i responsabili dei servizi per l’infanzia e dei centri di formazione professionale trasmettano alle ASL gli elenchi degli alunni fino a sedici anni di età, nonché dei minori stranieri non accompagnati, iscritti per l’anno scolastico (o il calendario) successivo; entro il 10 giugno, le ASL restituiscano gli elenchi, con indicazione dei soggetti non in regola con gli obblighi vaccinali; nei dieci giorni successivi, i dirigenti scolastici e i responsabili dei servizi per l’infanzia e dei centri di formazione professionale, entro il 10 luglio, invitino i genitori, tutori o affidatari a depositare la documentazione necessaria ed, entro il 20 luglio, informino la ASL dell’avvenuto deposito o della sua mancanza.
È altresì previsto (art. 3-bis, comma 5) che la mancata presentazione della documentazione nei termini previsti comporta la decadenza dell’iscrizione ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia. Tenuto conto di ciò, nonché della previsione che negli anni scolastici 2017-2018 e 2018-2019 la presentazione della documentazione è mero requisito di accesso, la Regione arguisce che, con riguardo ai minori già iscritti prima dell’entrata in vigore della legge, l’iscrizione, se già avvenuta, non decade (la mancata presentazione della documentazione è mera irregolarità) e non vi è alcuna conseguenza sull’accesso ai servizi, dato che l’iscrizione agli anni successivi avviene d’ufficio.
L’art. 4 disciplina l’inserimento scolastico dei minori non vaccinati, confermando che esso dovrebbe avvenire, di norma, in classi immunizzate e che devono essere segnalate alle ASL le classi con più di due minori non vaccinati.
L’art. 5 reca disposizioni transitorie e finali, con riguardo alla documentazione da presentare in relazione all’anno scolastico 2017-2018 e, al comma 1-bis, consente alle Regioni e alle Province autonome di prevedere, senza maggiori oneri finanziari, la prenotazione gratuita delle vaccinazioni presso le farmacie convenzionate aperte al pubblico mediante il centro unificato di prenotazione.
L’art. 5-quater richiama espressamente la legge n. 210 del 1992 e ne estende l’applicazione a chi, a causa delle vaccinazioni di cui all’art. 1, abbia riportato lesioni o infermità dalle quali sia derivata una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica.
Infine, il ricorrente riporta nuovamente il contenuto dell’art. 7 (non modificato in sede di conversione) e le considerazioni sulle finalità del decreto-legge desunte dalla relazione di accompagnamento del disegno di legge di conversione e dalla citata circolare del Ministro della salute.
4.2.– Il ricorrente propone quindi tre motivi di censura: tutti indirizzati contro l’art. 1, commi 1, 1-bis, 1-ter, 2, 3, 4 e 6-ter, nonché gli artt. 3, 3-bis, 4, 5, 5-quater e 7 del d.l. n. 73 del 2017, come convertito; il primo anche contro il decreto-legge nella sua interezza.
I tre motivi, benché riferiti alle disposizioni come modificate in sede di conversione, si basano su argomenti corrispondenti in larga parte a quelli del primo ricorso, con l’aggiunta di alcune considerazioni e riferimenti ulteriori, riassunti di seguito.
4.3.– Con il primo motivo (rivolto, come si è detto, anche all’intero d.l. n. 73 del 2017, come convertito) la Regione Veneto denuncia la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., «in combinato disposto» con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.
A quanto già rilevato la ricorrente aggiunge che il difetto dei presupposti di cui all’art. 77, secondo comma, Cost. non è sanato dal sopraggiungere della legge di conversione, che risulta anzi affetta da un vizio in procedendo (sono citate, al riguardo, le sentenze n. 220 del 2013, n. 22 del 2012 e n. 71 del 2007).
Inoltre, con riguardo all’inidoneità delle disposizioni censurate, come convertite, a sortire effetti immediati, si osserva che l’art. 3-bis ha efficacia differita di un anno e si ripete che il raffronto tra il suo comma 5 e l’art 3, comma 3, lascerebbe intendere che per i minori già iscritti all’entrata in vigore della legge non si verifica, in sostanza, alcuna preclusione nell’accesso ai servizi di istruzione. Inoltre, come chiarito nella circolare del Ministero della salute del 16 agosto 2017 (Circolare recante prime indicazioni operative per l’attuazione del decreto-legge n. 73 del 7 giugno 2017, convertito con modificazioni dalla legge 31 luglio 2017, n. 119, recante “Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, di malattie infettive e di controversie relative alla somministrazione di farmaci”), la sanzione amministrativa pecuniaria viene applicata solo una volta (non all’inizio di ciascun anno scolastico), sicché il suo pagamento esonera di fatto dall’obbligo della vaccinazione (almeno sino al 2019-2020).
4.4.– Con il secondo motivo di ricorso, è denunciata la violazione degli artt. 2, 3, 5, 31, 32, 34 e 97 Cost., «in combinato disposto» con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., sul presupposto che la riduzione da dodici a dieci delle vaccinazioni obbligatorie non abbia eliso i profili di illegittimità costituzionale già denunciati, né la loro ridondanza sulle attribuzioni regionali.
L’irragionevole prevalenza dell’interesse collettivo sull’autodeterminazione individuale non sarebbe compensata dalla possibilità, di cui all’art. 1, comma 1-ter, che l’obbligatorietà di alcune vaccinazioni sia sospesa. In ogni caso, la diversa strategia vaccinale adottata dalla Regione Veneto sarebbe travolta almeno per tre anni.
Nell’aggiungere l’art. 5 Cost. ai parametri costituzionali di cui è denunciata la violazione, la ricorrente torna a lamentare l’irragionevole uniformità della normativa censurata e la mancata considerazione dell’efficiente attuazione dei valori costituzionali già conseguita in ambito regionale, la quale tradirebbe «una concezione organicistica e meramente giacobina dei corpi sociali», in contraddizione con il principio pluralista.
Riproponendo, poi, le ragioni per cui i censurati obblighi vaccinali, in relazione alle patologie per cui sono disposti, sarebbero inidonei a conseguire gli scopi perseguiti e, comunque, eccessivi rispetto a essi, con particolare riguardo all’Hib la ricorrente richiama l’attenzione sul passaggio della citata circolare del 16 agosto 2017 in cui si afferma che il relativo vaccino è utilizzabile a tutte le età senza rischi, ma è indicato solo per i minori più piccoli e per i soggetti ad alto rischio, sicché si conclude: «[d]ata l’epidemiologia dell’Haemophilus influenzae, che oltre i 5 anni di età non pone un alto rischio di malattia invasiva, salvo in soggetti particolari, in caso di attestata immunità naturale, si può ricorrere a una combinazione di vaccini senza di esso». Ciò costituirebbe una vera e propria smentita dell’obbligatorietà.
Il difetto di un’adeguata valutazione preventiva dei rischi di complicanze permane, ad avviso della ricorrente, e non basta a superarlo il riferimento, nel già citato art. 1, comma 1-ter, alle possibili «reazioni avverse» come uno dei riferimenti per la valutazione se disporre l’ipotetica sospensione, comunque solo in relazione alle malattie di cui al precedente comma 1-bis.
Nel lamentare l’impatto delle norme in questione sulla propria organizzazione amministrativa (accentuato, come si rileva nel prosieguo, dalla nuova procedura di cui al censurato art. 3, comma 3-bis), la Regione Veneto aggiunge a quanto già dedotto nel precedente ricorso il riferimento a una nota di lettura del Servizio del bilancio del Senato della Repubblica (relativa al disegno di legge A.S. n. 2856, poi approvato come legge n. 119 del 2017; dossier n. 185 del giugno 2017), laddove essa rileva che l’estensione degli obblighi vaccinali può determinare un aumento dei relativi adempimenti e richiede una valutazione, almeno di massima, degli aggravi lavorativi attesi per le strutture amministrative coinvolte e della sostenibilità degli stessi.
Inoltre, in relazione ai principi di ragionevolezza ed eguaglianza, si rileva che se, come rilevato nella circolare più volte citata, la sanzione pecuniaria è applicabile una sola volta, di fatto i genitori in grado di pagarla, segnatamente perché più abbienti, hanno facoltà di mantenere i propri figli non vaccinati iscritti alla scuola dell’obbligo.
4.5.– Con il terzo motivo di ricorso, è nuovamente denunciata la violazione degli artt. 81, terzo comma, e 119, primo e quarto comma, Cost., per l’omessa copertura dei costi conseguenti all’estensione degli obblighi vaccinali.
La già lamentata aleatorietà delle considerazioni, con cui la relazione tecnica al disegno di legge di conversione pretende di dimostrare la copertura degli oneri, è argomentata anche con il riferimento al già citato documento del Servizio del bilancio del Senato (di cui sono riportati ampi stralci), là dove si rileva che l’estensione degli obblighi, muniti di sanzione, potrebbe portare a un superamento dell’obiettivo del 95 per cento e quindi a oneri maggiori rispetto a quelli calcolati sulla base dei nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA), sì da rendere opportuna una «clausola di monitoraggio» simile a quella di cui all’art. 17, commi 12 e seguenti, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica); che l’ipotizzata riduzione del costo dei vaccini, accettabile ai fini dei saldi tendenziali, non sarebbe però «perfettamente coerente con il principio della legislazione vigente», in quanto indipendente dalle norme in esame (e, anzi, secondo la stessa relazione tecnica, già verificatasi); che non sarebbe stata valutata in modo convincente la spesa per i minori stranieri non accompagnati, la quale potrebbe aumentare la platea dei beneficiari sino a compensare in parte il calo di nascite.
Aggiornando le valutazioni riportate nel primo ricorso, la Regione stima ora gli oneri a proprio carico in oltre 17 milioni di euro, per la somministrazione di oltre 574.755 dosi di vaccino ai nati dal 2001 al 2017; oppure, escludendo i nuovi nati, in 10.509.167 euro, per la somministrazione di 379.755 dosi. I maggiori oneri amministrativi ammonterebbero a circa 5 milioni di euro (o 3 milioni di euro escludendo i nuovi nati); anche a tale proposito si fa riferimento al documento del Servizio del bilancio del Senato più volte citato, secondo il quale non è certo che non occorrerà lavoro straordinario nelle ASL e, quindi, che non si verificheranno maggiori costi.
Con riguardo alle spese per gli eventuali indennizzi ai sensi della legge n. 210 del 1992, poi, si osserva che nulla è disposto a riguardo negli articoli 5-bis, 5-ter e 5-quater, inseriti in sede di conversione (i quali prevedono, rispettivamente, il litisconsorzio necessario dell’AIFA nelle controversie sugli indennizzi dovuti a causa di vaccinazioni, un incremento dell’organico del Ministero della salute per gestire le procedure di indennizzi e, come già rilevato, l’estensione della legge n. 210 del 1992 ai danneggiati dalle vaccinazioni previste nel d.l. n. 73 del 2017). Anche a tale proposito il Servizio del bilancio del Senato aveva ritenuto necessarie stime sul potenziale impatto.
4.6.– È altresì reiterata l’istanza di sospensione ai sensi dell’art. 35 della legge n. 87 del 1953, in termini analoghi a quelli esposti nel primo ricorso.
5.– Sono intervenuti in giudizio l’associazione «Aggregazione Veneta», già citata, nonché L. P., con atto depositato il 2 ottobre 2017; il «Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino» (CONDAV), con atto depositato il 17 ottobre 2017; AMEV, unitamente a L. B. e C. C., in qualità di genitori del minore L.C., con atto depositato il 17 ottobre 2017.
Gli intervenienti hanno chiesto l’accoglimento del ricorso. CONDAV ha chiesto la sospensione delle disposizioni censurate, e così pure AMEV, L. B. e C. C., i quali hanno altresì domandato la riunione del giudizio con quello promosso con il ricorso iscritto al r.r. n. 51 del 2017 e la loro trattazione congiunta.
6.– Con atto depositato il 25 ottobre 2017, si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione Veneto siano dichiarate inammissibili o infondate.
6.1.– Brevemente riassunti i contenuti delle norme censurate e quelli dei motivi di ricorso, la difesa statale, anzitutto, chiede la riunione del giudizio con quello già promosso dalla Regione Veneto (r.r. n. 51 del 2017) ed eccepisce l’inammissibilità di tutti gli interventi ad adiuvandum, dato che il giudizio di legittimità costituzionale in via d’azione si svolge esclusivamente fra soggetti titolari di potestà legislativa.
6.2.– Inammissibili sarebbero altresì tutti i motivi di ricorso dispiegati dalla difesa regionale.
6.2.1.– Sulle questioni sollevate per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119, primo e quarto comma, Cost., la difesa statale rileva che in questo giudizio, come nel precedente, la Regione ha censurato lo strumento normativo utilizzato e la scelta di politica sanitaria nel senso dell’obbligo vaccinale, la quale però rientra nella «sovrana discrezionalità del Governo e del Parlamento» ed esige regole generali uniformi, «veri e propri principi fondamentali»; regole che si fondano, inoltre, sulle già evocate competenze in materia di livelli essenziali, istruzione e profilassi internazionale. Alle Regioni, che «sono prive di potestà legislativa in materia», non compete effettuare né contestare scelte siffatte: secondo la difesa statale, «[n]e consegue che le censure proposte, non investendo il riparto costituzionale delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni, sono palesemente inammissibili».
Le censure per violazione dell’art. 97 Cost., in combinato disposto con gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. sarebbero inammissibili per genericità e insufficienza della motivazione: la Regione non spiega perché sarebbero compromessi il buon andamento dei servizi sanitari e la loro capacità di assicurare i trattamenti sanitari, ricompresi nei livelli essenziali di assistenza, diversi dalle vaccinazioni.
Quanto poi al denunciato travolgimento del modello di cui alla legge reg. Veneto n. 7 del 2007, esso dipenderebbe dalla ovvia e fisiologica attitudine delle norme statali, fondate sui già menzionati titoli di competenza, a incidere sulle attribuzioni regionali; sicché sarebbero pretestuose le doglianze delle ricorrente basate su tali incisioni, mentre il problema risiede piuttosto «nel verificare se ciò avviene o meno secundum constitutionem», ossia nel legittimo esercizio, da parte dello Stato, dei poteri che gli competono.
Con riguardo al carattere puntuale e dettagliato degli obblighi posti a carico delle amministrazioni sanitarie regionali, la difesa statale osserva che esso dipende dal rapporto di coessenzialità con «la norma di principio che introduce l’obbligatorietà delle vaccinazioni» e, inoltre, è giustificato pure dalla competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m, Cost. La Regione non avrebbe giustificato adeguatamente la dedotta lesione delle proprie attribuzioni e, comunque, conserverebbe ampia autonomia nell’organizzare i propri servizi vaccinali. Peraltro, tutte le disposizioni del decreto-legge che si riflettono sull’organizzazione dei servizi vaccinali regionali sarebbero meramente riproduttive dei contenuti del PNPV 2017-2019, approvato con il consenso della stessa Regione Veneto.
Inammissibili sarebbero pure le doglianze relative alle competenze regionali in materia di istruzione e formazione professionale, anch’esse fisiologicamente incise dalle norme introdotte dallo Sato nell’esercizio delle sue proprie attribuzioni; la denunciata compressione dell’autonomia finanziaria regionale (art. 119, primo e quarto comma, Cost.), per violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost., posto che la Regione non ha adempiuto all’onere di dimostrare che, in concreto, l’intervento censurato ha ridotto le risorse a disposizione in misura tale da compromettere gravemente il rapporto tra i bisogni regionali e i mezzi finanziari per farvi fronte; la censura per violazione dell’art. 118 Cost., non avendo la ricorrente sviluppato al riguardo alcune autonoma argomentazione e, comunque, perché l’intervento statale in questione è esclusivamente legislativo e non ha comportato l’allocazione al livello statale di funzioni regionali.
6.2.2.– È eccepita l’inammissibilità anche di tutte le questioni sollevate per violazione di parametri esterni al Titolo V della Parte seconda della Costituzione (artt. 2, 3, 5, 31, 32, 34, 77, 81 e 97 Cost.): non sarebbe ravvisabile alcuna ridondanza dei vizi denunciati in danno di attribuzioni costituzionalmente garantite alle Regioni. Ciò vale in particolare per la questione sollevata in relazione all’art. 77, secondo comma, Cost.: apparentemente la Regione Veneto denuncia un vulnus delle proprie attribuzioni, ma nella sostanza mira a contestare una scelta di politica sanitaria pacificamente estranea alle sue competenze.
6.3.– Nel merito, tutte le questioni sollevate dalla ricorrente paiono alla difesa statale manifestamente infondate, per ragioni sostanzialmente uguali a quelle già dedotte nel primo giudizio.
7.– In data 31 ottobre 2017, la Regione Veneto ha depositato una memoria nel giudizio promosso contro il d.l. n. 73 del 2017 (r.r. n. 51 del 2017), nella quale ribadisce le deduzioni già formulate e svolge approfondimenti anche in relazione alle tesi della difesa statale e alle modifiche apportate dalla legge n. 119 del 2017.
7.1.– Ad avviso della Regione, i meriti storici dei vaccini non giustificano la permanenza o la somministrazione obbligatoria di quelli che, fra essi, si rivelino oggi inutili o dannosi, nel processo di perenne ricerca ed evoluzione che li riguarda. La Regione sottolinea che mai, nella storia repubblicana, si è intervenuti in questa materia con un decreto-legge e per introdurre un numero così elevato di nuovi obblighi, per ciascuno dei quali la Corte costituzionale dovrà giudicare se sussistano i presupposti di cui all’art. 77 Cost. e un interesse collettivo rilevante nella prospettiva dell’art. 32 Cost.
Sarebbero insufficienti e generiche le ragioni addotte, al riguardo, da parte statale, in relazione al calo delle coperture vaccinali, segnatamene con riguardo a poliomielite, morbillo e rosolia. Irrealistica e pretestuosa sarebbe la rappresentazione del rischio di un ritorno delle epidemie del passato, o di malattie da tempo debellate: la flessione delle coperture non sussiste affatto, per alcuni vaccini; per altri, è limitata, oppure comunque irrilevante poiché per le relative malattie non può verificarsi l’«effetto gregge».
L’unico «piccolo rischio» riguarda il morbillo, per il quale, tuttavia, è dubbia l’efficacia dell’obbligo vaccinale nella sola età pediatrica. Benché, dopo l’introduzione della vaccinazione, l’incidenza del morbillo si sia molto ridotta, la malattia continua a circolare sia nel mondo, sia in Italia: qui, nonostante le coperture già raggiunte (sotto stimate, ad avviso della Regione), si verificano picchi periodici, come quello che, nel 2017, è iniziato nel mese di gennaio, ha raggiunto l’apice a marzo e poi è gradualmente calato nei mesi successivi (durante i quali il d.l. n. 73 del 2017 è stato emanato e convertito in legge). Sarebbe difficile spiegare l’andamento di questo fenomeno, che comunque non ha carattere epidemico (con focolai e successiva diffusione a macchia d’olio), bensì consta di casi isolati; e che interessa anche soggetti vaccinati e adulti (con un’alta percentuale di operatori sanitari), nei quali la malattia è più pericolosa. Replicando ai rilievi di parte statale, la Regione concede che il tasso di infezione è più alto tra i bambini che tra gli adulti (15-39 anni), ma ritiene che non sia corretto considerare, invece del numero assoluto di casi, il tasso di incidenza per gruppo demografico: è dall’insieme di tutti casi che dipende il desiderato “effetto gregge”. Considerata la maggiore gravità del morbillo degli adulti (tale da fare sospettare il fallimento dell’“immunità di gregge”), è irragionevole l’obbligo vaccinale che non si estenda anche a essi. Comunque, piccoli cambiamenti nella copertura vaccinale sarebbero irrilevanti per prevenire le ricomparse cicliche della malattia.
7.2.– La Regione manifesta stupore sul fatto che la missiva inviata dall’OMS al Senato, nonostante il suo «tempismo», abbia ignorato questi dati e ritiene del tutto improprio il paragone con i Paesi africani. Del resto, l’obiettivo di eradicare il morbillo dall’Europa non può essere raggiunto mediante misure drastiche adottate solo in Italia, «[a] meno che non si consideri l’Italia un “laboratorio” dove studiare gli effetti di una politica vaccinale più rigida». La Regione ritiene, inoltre, apodittico e oscuro il comunicato stampa diffuso da quattro società mediche italiane, che hanno espresso «grande soddisfazione» per il decreto-legge: «[i]n mancanza di solide prove scientifiche dell’efficacia di un provvedimento così drastico, viene da chiedersi da quali motivazioni prenda origine una posizione così netta in favore del decreto governativo da parte di igienisti, pediatri e medici di medicina generale».
La Regione ribadisce la propria convinzione che la soglia del 95 per cento sia arbitraria, sovrastimata e non correttamente predicabile per tutte le vaccinazioni e in tutti i contesti. Quanto al fenomeno del cosiddetto accumulo dei suscettibili, ciò che conta non è l’incremento nel tempo del loro numero assoluto, ma la proporzione rispetto ai vaccinati. In ogni caso, la stessa vaccinazione non è mai efficace nel 100 per cento dei casi e, se si volesse davvero fermare l’accumulo, occorrerebbe imporla (e imporre i richiami vaccinali) a tutta la popolazione, per tutta la vita.
7.3.– La Regione si diffonde poi in argomentazioni dettagliate sulle caratteristiche delle singole malattie, per contestare i presupposti di ciascuno degli obblighi vaccinali in questione. In sintesi, non sussisterebbe alcun interesse collettivo a evitare che le coperture vaccinali scendano sotto la soglia che, ad avviso della Regione, deve considerarsi ottimale e non critica: in alcuni casi la malattia non è trasmissibile da persona a persona o comunque non sussiste alcun allarme epidemico, essendo anzi taluni morbi endemici; in altri, il vaccino serve a diminuire la gravità della malattia, ma non a fermare il contagio, il quale può avvenire anche ad opera dei soggetti vaccinati; in altri casi ancora, condizioni di rischio per la collettività possono verificarsi, ma non nella prima infanzia; talora, il rischio epidemico può essere evitato con mezzi alternativi al vaccino e meno invasivi, come la cura antibiotica e l’isolamento dei casi.
Inoltre, la Regione torna a soffermarsi sui dubbi in merito alla sicurezza di alcuni vaccini o all’efficacia di altri, anche in relazione all’assenza di obblighi per gli adulti; sulla scarsa o nulla incidenza di determinate malattie in Italia; sul rilievo che, nel contrasto delle malattie infettive, hanno circostanze diverse dalle coperture vaccinali, come le pratiche e le condizioni igieniche.
Anche il vaccino contro il morbillo è, secondo la ricorrente, un presidio importante, ma è dubbio se aiuti a conseguire una “immunità di gregge”; nemmeno sarebbe possibile bloccare la circolazione del virus agendo solo in Italia. La malattia ha un andamento epidemiologico irregolare e il contagio può arrestarsi a prescindere da modifiche delle strategie vaccinali. Si sospetta che l’immunità da vaccino svanisca nel tempo e che compaiano più casi nell’età adulta. Comunque, la Regione Veneto ritiene di avere raggiunto risultati di copertura identici o migliori rispetto ad altre Regioni, senza fare ricorso a imposizioni; essa sarebbe una delle aree meno colpite dalla malattia.
A proposito dei risultati raggiunti, la Regione Veneto risponde ai rilievi critici dell’Avvocatura generale dello Stato. Anche in Veneto si è verificata una flessione delle coperture, che ha raggiunto l’apice nel primo semestre del 2014; poi, però, è iniziato un recupero che, a fine 2016, ha consentito di tornare ai livelli del 2012. Nemmeno sarebbe scorretto eliminare, dal denominatore dei tassi di copertura, gli irraggiungibili: questa scelta è stata condivisa con le autorità statali e serve a considerare, ai fini della determinazione del «gregge», solo chi è effettivamente presente sul territorio. Sulla base della propria anagrafe vaccinale, la Regione Veneto ritiene che, per tutti i soggetti residenti e domiciliati tra 2 e 18 anni, a febbraio 2017 risultavano una copertura del 94,5 per cento per la prima dose di vaccino anti-poliomielite e del 92,6 per cento per la prima dose del vaccino anti-morbillo. Infine, non sarebbero esatti i calcoli sul numero di minori non vaccinati che l’Avvocatura generale dello Stato propone, sulla base delle allegazioni della difesa regionale in merito alle dosi di vaccino necessarie per i recuperi: le allegazioni si riferiscono a tutte le dosi previste nella schedula di ciascun vaccino (quindi, a ciascun minore corrisponde più di una dose). In Veneto non esisterebbe alcuna emergenza sanitaria e la soglia critica di copertura sarebbe già garantita attraverso un modello fondato sul consenso e sulla valorizzazione dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente, in linea con la giurisprudenza costituzionale anche più recente (è citata la sentenza n. 169 del 2017) e in armonia con l’istanza di differenziazione che permea la Costituzione italiana.
7.4.– Infine, la difesa regionale rileva che è oscuro a quali obblighi europei o internazionali di profilassi internazionale facciano riferimento le disposizioni censurate e la difesa statale. Per quanto riguarda l’OMS, l’European Vaccine Action Plan 2015-2020 non si basa affatto sull’obbligo vaccinale, mentre il Piano globale di eliminazione di morbillo e rosolia si riferisce esclusivamente a queste due malattie. Non sarebbero pertinenti i riferimenti alla competenza legislativa statale in materia di livelli essenziali delle prestazioni sanitarie, dato che il d.P.C.m. 12 gennaio 2017 considerava bensì le vaccinazioni di cui al PNPV 2017-2019, ma non la loro obbligatorietà. Neppure la normativa impugnata consisterebbe in norme generali, o principi fondamentali, in materia di istruzione. In replica alle censure regionali per violazione degli artt. 81, terzo comma, e 119, primo e quarto comma, Cost., l’Avvocatura generale dello Stato avrebbe solo riportato pedissequamente i contenuti della relazione tecnica (che accompagnava il disegno di legge di conversione del d.l. n. 73 del 2017), i quali la difesa di parte ricorrente ritiene di avere già adeguatamente contestato.
8.– In data 31 ottobre 2017, pure il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria nel giudizio iscritto al r.r. n. 51 del 2017, nella quale insiste nelle conclusioni e nelle argomentazioni già esposte, anche nell’ambito del giudizio iscritto al r.r. n. 75 del 2017, con alcune considerazioni aggiuntive.
Dopo avere passato in rassegna i contenuti del d.l. n. 73 del 2017, convertito dalla legge n. 119 del 2017, la difesa statale eccepisce l’inammissibilità degli interventi ad adiuvandum, sulla base di argomenti analoghi a quelli sviluppati nel giudizio iscritto al r.r. n. 75 del 2017 e, inoltre, di considerazioni sulla posizione e sugli argomenti dei singoli intervenienti. La difesa statale eccepisce altresì l’inammissibilità del ricorso regionale, per ragioni corrispondenti a quelle esposte nell’altro giudizio.
8.1.– Le stesse ragioni di inammissibilità del ricorso si convertirebbero, secondo la difesa statale, in altrettante ragioni di infondatezza delle censure regionali.
Riassumendo la giurisprudenza costituzionale, la difesa statale rileva che per le vaccinazioni ricorrono le condizioni richieste per l’eccezionale imposizione di un trattamento sanitario, a norma dell’art. 32, secondo comma, Cost.: la vaccinazione preserva dal contagio sia chi la riceve, sia gli altri (particolarmente coloro che non l’hanno ancora ricevuta o non possono riceverla); normalmente, per chi vi si sottopone, la pratica vaccinale comporta conseguenze lievi e temporanee, trascurabili anche a fronte dei benefici immunitari e dei gravi rischi che, altrimenti, possono insorgere; per i casi di lesioni o infermità da vaccinazioni che causino menomazioni permanenti dell’integrità psico-fisica, esiste una specifica tutela indennitaria, rafforzata dal d.l. n. 73 del 2017, convertito dalla legge n. 119 del 2017 (artt. 5-bis, 5-ter e 5-quater), accanto all’ordinaria tutela risarcitoria.
Peraltro, prosegue la difesa statale, per le vaccinazioni in esame non è pertinente l’autodeterminazione individuale, bensì la responsabilità dei genitori nei confronti dei figli, con riguardo all’adozione di misure e condotte idonee a garantirne l’interesse a beni fondamentali quali la salute e l’istruzione. Riportandosi alla giurisprudenza costituzionale, civile e amministrativa, l’Avvocatura generale dello Stato conclude che, nel caso di vaccinazioni obbligatorie per i minori, la valutazione del legislatore deve contemperare, da un lato, il diritto dei terzi alla salute e il correlativo interesse pubblico e, dall’altro, non la libertà di autodeterminazione, «della quale il minore è per definizione privo», ma l’interesse del bambino, che esige tutela anche nei confronti dei genitori. È citato, in particolare, il parere del Consiglio di Stato, Commissione speciale, 26 settembre 2017, n. 2065, reso proprio alla Regione Veneto, laddove esso sottolinea che la Costituzione non garantisce un’incondizionata e assoluta libertà di rifiutare le cure, compresi i vaccini, «per la semplice ragione che, soprattutto nelle patologie ad alta diffusività, una cura sbagliata o la decisione individuale di non curarsi può danneggiare la salute di molti altri esseri umani e, in particolare, la salute dei più deboli, ossia dei bambini e di chi è già ammalato».
Allo stesso parere, nonché alla pertinente giurisprudenza costituzionale, la difesa statale fa riferimento per argomentare che il singolo, sottoponendosi al trattamento obbligatorio, adempie a uno dei doveri inderogabili di solidarietà sociale, che hanno fondamento nell’art. 2 Cost. L’intervento pubblico non è unidirezionale, ma bidirezionale e reciproco: si esprime non solo nel senso della solidarietà della collettività verso il singolo, ma anche in quello del singolo verso la collettività; è per questa stessa ragione che, quando il singolo subisce un pregiudizio a causa di un trattamento previsto nell’interesse della collettività, quest’ultima si fa carico dell’onere indennitario.
Ancora citando il parere del Consiglio di Stato, l’Avvocatura generale dello Stato sottolinea che l’obbligo vaccinale è necessario per garantire a tutti, in condizioni di effettiva parità, la tutela della salute: altrimenti, il rifiuto dei vaccini da parte di alcuni, «in nome di una malintesa “libertà delle cure”», esporrebbe al rischio di contagio coloro che vengano a contatto con i non vaccinati. Ciò pone un problema particolarmente serio per i bambini in età prescolare, che, in ipotesi, si trovino inseriti in classi non immunizzate: qui è massimo il rischio di contagio e di complicanze. La rilevanza del principio di eguaglianza contribuirebbe, inoltre, a spiegare la pertinenza delle competenze esclusive statali in materia di livelli essenziali dell’assistenza sanitaria.
In merito alla coerenza tra la normativa in questione e il principio di precauzione, la difesa statale, sviluppando quanto già dedotto, osserva che sono scientificamente sicuri i rischi causati dalle malattie prevenibili, l’efficacia profilattica della pratica vaccinale e la scarsa significatività delle reazioni avverse; per converso, estremamente rare e non suffragate da evidenze scientifiche certe sono le reazioni avverse gravi e le complicanze irreversibili. Pertanto, la normativa in questione appare conforme al principio di precauzione, il quale – come osservato nel più volte citato parere del Consiglio di Stato – non obbliga alle opzioni totalmente prive di rischi, ma impone al decisore pubblico di prediligere, tra quelle possibili, la soluzione che bilancia meglio la minimizzazione dei rischi e la massimizzazione dei benefici, previa individuazione, in esito a un test di proporzionalità, di una soglia di pericolo accettabile, sulla base di una conoscenza completa e accreditata dalla migliore scienza disponibile.
8.2.– Nell’ultima parte della memoria, la difesa statale considera alcune «problematiche medico-scientifiche» sollevate dalle controparti.
In particolare, in relazione alla mancata previsione di accertamenti diagnostici preventivi, alla quale hanno fatto riferimento sia la ricorrente, sia gli intervenienti, la difesa statale ribadisce che, attualmente, i vaccini hanno raggiunto standard di sicurezza altissimi, ma non esiste alcun test in grado di predirne gli effetti collaterali sui singoli. Le controindicazioni ai vaccini sono riportate nelle note tecniche delle singole formulazioni, nelle circolari esplicative e nell’apposita guida periodicamente aggiornata dal Ministero della salute e dall’ISS; per individuare le singole situazioni di rischio, sono rilevanti la valutazione del pediatra e l’anamnesi pre-vaccinale effettuate presso i servizi vaccinali con i genitori (tutori ecc.). Per contro, attualmente non sono stati messi a punto affidabili test pre-vaccinali, anche di carattere genetico: benché il corredo genetico individuale possa influire sulla risposta immunitaria indotta dalla somministrazione del vaccino, sotto il profilo della sua efficacia immunizzante, appositi studi non avrebbero rilevato significative associazioni tra polimorfismi genetici e comparsa di effetti avversi.
La difesa statale argomenta anche in merito a talune problematiche medico-scientifiche sollevate esclusivamente dagli intervenienti, quali l’uso dei vaccini combinati, la valutazione delle reazioni avverse, i paventati profili di pericolosità di alcuni vaccini, i conflitti di interesse in cui verserebbero alcuni soggetti coinvolti nel procedimento legislativo.
In particolare, in merito alla valutazione delle reazioni avverse, l’Avvocatura generale dello Stato ribadisce che le controindicazioni ai vaccini (come le avvertenze speciali, le precauzioni d’impiego, le interazioni con altri farmaci, gli effetti indesiderati) sono incluse nelle relative schede tecniche. L’uso di un vaccino è preceduto da una valutazione di rischi e benefici operata, a livello nazionale, nei piani di prevenzione vaccinale e, a livello individuale, da parte del medico vaccinatore, anche sulla basa dell’anamnesi pre-vaccinale. Inoltre, l’autorizzazione all’immissione in commercio del vaccino presuppone la verifica di requisiti quali utilità, qualità, sicurezza (negli animali e nell’uomo), immunogenicità ed efficacia protettiva: prima dell’immissione in commercio, nel rispetto di standard internazionali, vengono eseguiti studi pre-clinici di farmacologia e tossicologia e studi clinici di sicurezza, tollerabilità, immunogenicità ed efficacia protettiva; dopo l’immissione in commercio, viene eseguita la sorveglianza post-marketing e quella delle reazioni avverse ai farmaci.
Inoltre, considerando i paventati profili di pericolosità di alcuni vaccini, la difesa statale tra l’altro osserva, conclusivamente, che nessun farmaco può considerarsi totalmente privo di rischi e nemmeno possono considerarsi tali i vaccini, i quali, benché sempre più efficaci e sicuri, in casi estremamente rari possono causare danni. Ciononostante, «come universalmente riconosciuto, i benefici della vaccinazione sono di gran lunga superiori ai potenziali danni causati nelle rarissime reazioni avverse».
9.– Nel giudizio iscritto al r.r. n. 51 del 2017, sono state altresì depositate memorie dall’associazione «Aggregazione Veneta» e da L. P., in data 30 ottobre; dalle associazioni CODACONS e AIDMA, in data 30 ottobre; dall’associazione AMEV, in data 31 ottobre.
10.– Nel giudizio iscritto al r.r. n. 75 del 2017, in data 10 novembre 2017, sia il Presidente del Consiglio dei ministri, sia la Regione Veneto hanno depositato ulteriori memorie. La difesa statale ripete gli argomenti già esposti nella precedente memoria, depositata nel giudizio iscritto al r.r. n. 51 del 2017. La Regione Veneto, invece, formula alcuni argomenti aggiuntivi.
10.1.– La ricorrente, pur dichiarandosi consapevole della rigorosa giurisprudenza della Corte costituzionale circa l’ammissibilità di interventi nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, dichiara il proprio interesse a che gli odierni intervenienti partecipino al giudizio, «anche come amici curiae, alla stregua di quanto diffusamente praticato nel sistema anglosassone, ma sostanzialmente ammesso anche nel nostro», in relazione a decisioni i cui effetti eccedono la sfera delle parti del procedimento (sono citate le sentenze, pronunciate in giudizi sull’ammissibilità dei referendum abrogativi, n. 45, n. 46, n. 47, n. 48 e n. 49 del 2005). La ricorrente richiama i casi in cui sono stati ammessi interventi di terzi, titolari di posizioni soggettive suscettibili di essere incise dall’esito del giudizio, o rappresentativi di interessi collettivi coinvolti nella questione (sono citate le sentenze n. 76 del 2001, n. 171 del 1996 e n. 314 del 1992, nonché l’ordinanza n. 50 del 2004); in particolare, richiama l’ordinanza n. 389 del 2004, in cui, in relazione a una questione di legittimità costituzionale sollevata in via incidentale in merito all’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, è stata riconosciuta la legittimazione a intervenire del genitore di un alunno della stessa scuola di cui si discuteva nel giudizio a quo.
Non varrebbe, in senso contrario, il rilievo che gli intervenienti dispongono di altri mezzi di difesa, i quali non opererebbero con altrettante urgenza e immediatezza e sconterebbero – per quanto riguarda l’eventualità di vedere sollevate in via incidentale le stesse questioni di legittimità costituzionale – «l’alea della valutazione di non manifesta infondatezza», valutazione che solo la Corte costituzionale sarebbe «davvero titolata a operare», pendendo il presente giudizio. Inoltre, per alcune delle associazioni intervenienti, questa strada sarebbe del tutto preclusa, «non essendo destinatarie dirette di provvedimenti impugnabili in sede giurisdizionale».
10.2.– La Regione Veneto replica, quindi, ad alcune eccezioni di inammissibilità di parte resistente, ritenendo di avere indicato sia le proprie attribuzioni, violate dalle norme in questione, sia la ridondanza su tali attribuzioni delle violazioni di parametri estranei al Titolo V della Parte seconda della Costituzione.
10.3.– In merito alla competenza legislativa statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m, Cost., la Regione Veneto osserva che essa non giustifica l’intervento statale censurato, nonostante l’obbligo introdotto riguardi le vaccinazioni contemplate nel PNPV 2017-2019: un conto sarebbe, secondo la resistente, prevedere un obiettivo, un altro imporre un obbligo per raggiungere una soglia di copertura diversa da quella critica. Il concetto di livello essenziale – che, secondo la resistente, la giurisprudenza costituzionale avrebbe inteso come standard minimi delle prestazioni (è citata la sentenza n. 115 del 2012) – sarebbe richiamato fuori luogo: il modello veneto bilancerebbe in modo più equilibrato i principi costituzionali in gioco e avrebbe sempre garantito coperture non inferiori alla soglia critica; esso sarebbe caratterizzato quindi da «standard superiori», come quelli che la giurisprudenza costituzionale ha sempre consentito alle Regioni di offrire (è citata la sentenza n. 200 del 2009).
Sarebbe poi contraddittorio interpretare estensivamente il concetto dei livelli essenziali, nel momento in cui lo stesso art. 117, secondo comma, lettera m, Cost. non è stato adeguatamente attuato, sicché anche in relazione al d.P.C.m. 12 gennaio 2017 potrebbe prefigurarsi una violazione del citato parametro costituzionale, oltre che dell’art. 32 Cost.: tanto, secondo la Regione Veneto, si desumerebbe dalla sentenza della Corte costituzionale n. 169 del 2017.
10.4.– Ancora sotto il profilo del bilanciamento tra principi costituzionali, la Regione Veneto ritiene di avere dimostrato perché, per alcune malattie (tetano, difterite, epatite B, poliomielite, pertosse, Hib) difettino in radice i presupposti di interesse collettivo, nonché necessità e urgenza che, ex artt. 32 e 77 Cost., dovrebbero giustificare l’intervento censurato: il contagio non può avere luogo, oppure non esiste una situazione sanitaria allarmante, o ancora l’“effetto gregge” non è realizzabile.
La ricorrente rammenta l’ordinanza n. 262 del 2004, in cui la Corte costituzionale ha affermato, in relazione alla vaccinazione obbligatoria dei minori contro il tetano, che per giudicarne la legittimità costituzionale, non è sufficiente considerare solo il carattere non diffusivo della malattia, in quanto l’omessa vaccinazione espone il minore a un rischio; e che, essendo in gioco non l’autodeterminazione del minore, bensì la responsabilità dei genitori di proteggerne la salute da danni e pericoli concreti, non si può ammettere una totale libertà dei genitori stessi di effettuare scelte che potrebbero essere gravemente pregiudizievoli per i figli. Tuttavia, la Regione Veneto ritiene irragionevole e sproporzionato che a un minore non vaccinato, ad esempio, contro il tetano, che non è una malattia diffusiva, sia precluso l’accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia, in assenza di qualsivoglia rischio di contagio.
Irragionevole sarebbe anche imporre l’obbligo di vaccinazione contro malattie che «oggi, in Italia, sono praticamente a rischio zero», come poliomielite e difterite: del resto, se casi sporadici si ripresentassero, «si può essere certi che le coperture vaccinali balzerebbero in pochi giorni al 100%!». I genitori sicuramente non rinuncerebbero alle vaccinazioni, «se esistesse un pericolo reale di una grave malattia incombente». A questa «concezione positiva della persona dei genitori e alla loro auto determinazione» si contrappone l’estensione degli obblighi vaccinali, contrastante con il principio del consenso informato, il cui rilievo è stato affermato anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 438 del 2008): come chiarito nella circolare 16 agosto 2017, infatti, per le vaccinazioni obbligatorie non dovrebbe essere raccolto alcun consenso informato, ma solo consegnato un modulo informativo.
10.5.– Da ultimo, la Regione Veneto considera il «Rapporto sulla sorveglianza postmarketing dei vaccini in Italia 2014-2015» dell’AIFA e riassume i dati, ivi riferiti, sulle segnalazioni di eventi avversi ai vaccini.
Le segnalazioni sono state 8.873 nel 2014 e 3.772 nel 2015. La differenza è dovuta al fatto che nel 2014 sono state svolte ricerche di sorveglianza attiva, ossia sono stati somministrati appositi questionari per valutare il risultato della vaccinazione; normalmente, invece, le segnalazioni sono spontanee, ossia effettuate autonomamente dal medico che sospetti reazioni avverse. Le ricerche di sorveglianza attiva sono state eseguite soprattutto in Veneto: perciò da questa Regione sono arrivate, nel 2014, 5.854 segnalazioni, a fronte, ad esempio, delle appena 453 in Lombardia. Nondimeno, anche nel 2015 le segnalazioni provenienti dal Veneto (1.396) sono comparativamente molte di più rispetto a quelle di altre Regioni (ad esempio, 333 in Lombardia), soprattutto meridionali (meno di 100 segnalazioni ciascuna). Secondo la ricorrente, la differenza sarebbe dovuta alla maggiore efficienza, in Veneto, del sistema di raccolta, trasmissione e catalogazione delle reazioni avverse, che, invece, con grande probabilità sarebbe molto inefficiente nel resto d’Italia.
In proposito, la ricorrente ricorda la sentenza n. 358 del 1994, in cui la Corte costituzionale ha affermato la necessità di esami preventivi alle vaccinazioni, finalizzate a limitare il rischio di reazioni avverse. Secondo la Regione Veneto, il legislatore statale non avrebbe mai provveduto a ciò e, ora, imporrebbe obblighi talmente estesi, da rendere concretamente impossibile l’adozione di cautele. «I bambini, spesso senza una approfondita valutazione specifica della loro condizione (…) vengono portati alle Asl e vaccinati a “spron battuto” come se fossimo in uno stato di emergenza che, soprattutto nella regione Veneto, non esiste».
11.– Nello stesso giudizio iscritto al r.r. n. 75 del 2017, hanno depositato memorie anche «Aggregazione Veneta» congiuntamente a L. P., nonché AMEV congiuntamente a L. B. e C. C., in qualità di genitori del minore L. C..
12.– All’udienza del 21 novembre 2017, previa discussione sul punto, sono stati dichiarati inammissibili gli interventi, per i motivi indicati nell’ordinanza dibattimentale allegata alla presente sentenza. Le difese della Regione Veneto e del Presidente del Consiglio dei ministri hanno ribadito le proprie argomentazioni e conclusioni. In risposta a una domanda del relatore, l’Avvocatura generale dello Stato ha affermato che, nel d.l. n. 73 del 2017 come convertito dalla legge n. 119 del 2017, il sistema di revisione triennale di cui all’art. 1, comma 1-ter, si riferisce solo alle malattie di cui al precedente comma 1-bis perché solo per esse, diversamente che per le malattie di cui al comma 1, sarebbero possibili l’eliminazione da determinate aree geografiche o l’eradicazione totale.
Considerato in diritto
1.– La Regione Veneto ha promosso questioni di legittimità costituzionale del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73 (Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale), per intero e con riguardo all’art. 1, commi da 1 a 5, e agli artt. 3, 4, 5 e 7 (ricorso iscritto al r.r. n. 51 del 2017); nonché dello stesso decreto-legge, come convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2017, n. 119 (la quale ne ha anche modificato il titolo in «Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, di malattie infettive e di controversie relative alla somministrazione di farmaci»), per intero e con riguardo all’art. 1, commi 1, 1-bis, 1-ter, 2, 3, 4 e 6-ter, e agli artt. 3, 3-bis, 4, 5, 5-quater e 7 (giudizio iscritto al r.r. n. 75 del 2017).
I due ricorsi sollevano questioni in gran parte analoghe e hanno ad oggetto, in estrema sintesi, la previsione di dieci (inizialmente dodici) vaccinazioni obbligatorie per i minori fino a sedici anni di età, inclusi i minori stranieri non accompagnati, stabilendo, per i casi di inadempimento, sanzioni amministrative pecuniarie e il divieto di accesso ai servizi educativi per l’infanzia.
1.1.– In entrambi i ricorsi, il primo motivo di censura si incentra sulla violazione dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione, in «combinato disposto» con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., in relazione sia all’intero testo del decreto-legge, sia alle singole disposizioni sopra riportate.
Secondo la Regione, non sussisterebbero i presupposti per la decretazione d’urgenza: il decreto-legge sarebbe stato emanato in assenza di una reale emergenza sanitaria che giustificasse l’intervento del Governo; inoltre, in termini di coperture vaccinali, l’obiettivo del 95 per cento perseguito dal decreto-legge rappresenterebbe una soglia ottimale, ma non critica, per il conseguimento della cosiddetta “immunità di gregge” (herd immunity, immunità o resistenza collettiva a un patogeno da parte di una comunità o popolazione umana); d’altra parte, l’epidemia di morbillo manifestatasi nel 2017 non determinerebbe alcun allarme e, comunque, il sopraggiunto obbligo vaccinale sarebbe inidoneo a contrastarla; infine, la normativa introdotta non avrebbe operatività immediata.
La violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. si ripercuoterebbe sulle attribuzioni regionali, di cui agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., segnatamente in materia di tutela della salute e di istruzione.
1.2.– Il secondo e più esteso motivo di censura è rivolto, nel primo ricorso, contro l’art. 1, commi da 1 a 5, e contro gli artt. 3, 4 e 5 del d.l. n. 73 del 2017, nella versione originaria; nel secondo ricorso, contro l’art. 1, commi 1, 1-bis, 1-ter, 2, 3, 4 e 6-ter, e contro gli artt. 3, 3-bis, 4, 5, 5-quater e 7 del d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017. Viene denunciata la violazione degli artt. 2, 3, 31, 32, 34 e 97 Cost., quest’ultimo in «combinato disposto» con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. Nel secondo ricorso è altresì richiamato come parametro l’art. 5 Cost.
Ancorché la difesa regionale lo presenti come motivo di censura unitario, esso ha un contenuto eterogeneo, in quanto denuncia sia la violazione di parametri estranei al Titolo V della Parte seconda della Costituzione, con ridondanza sulle attribuzioni regionali, sia la violazione diretta di tali attribuzioni.
1.3.– Sotto quest’ultimo profilo, la ricorrente lamenta che il carattere dettagliato delle norme censurate impedirebbe di qualificarle come principi fondamentali in materia di «tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost.); inoltre, sarebbero violate le competenze regionali in materia di «istruzione» e di «formazione professionale» (art. 117, terzo e quarto comma, Cost.), nonché l’autonomia amministrativa della Regione (art. 118 Cost.).
1.4.– Per quanto riguarda i parametri estranei al Titolo V, la cui violazione ridonderebbe sulle attribuzioni sopra descritte, la Regione Veneto formula un duplice ordine di censure.
1.4.1.– Pur affermando di non volere mettere in discussione l’utilità dei vaccini e l’interesse pubblico alla loro diffusione tra la popolazione, la Regione contesta la repentina introduzione degli obblighi previsti nel d.l. n. 73 del 2017 (anche dopo la loro riduzione operata in sede di conversione dalla legge n. 119 del 2017), ritenendo che il legislatore non abbia bilanciato in modo equilibrato, conformemente al principio di proporzionalità, la tutela della salute, collettiva e individuale, e l’autodeterminazione personale in materia sanitaria, garantita dagli artt. 2, 3 e 32 Cost., nonché dagli artt. 1 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e riproclamata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 (CDFUE), dall’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU) e dagli artt. 5, 6 e 9 della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina (Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, la cui ratifica ed esecuzione è stata disposta dalla legge 28 marzo 2001, n. 145).
Secondo la ricorrente, le norme censurate sarebbero inidonee o eccessive rispetto agli obiettivi di tutela della salute pubblica perseguiti: a sostegno di questa affermazione, la Regione esamina una ad una ciascuna delle vaccinazioni previste e solleva dubbi riguardo alla loro efficacia e, per alcuni aspetti, alla loro sicurezza.
La Regione Veneto critica altresì le misure previste come conseguenza degli inadempimenti: da un lato, le sanzioni amministrative non sarebbero realmente dissuasive, se effettivamente esse (come indicato nelle circolari applicative) sono destinate ad applicarsi una sola volta per ciascun inadempimento vaccinale; dall’altro lato, risulterebbe eccessiva l’esclusione dei minori non vaccinati dai servizi educativi per l’infanzia, segnatamente quando le omissioni riguardano malattie non trasmissibili per contagio.
Ancora, ad avviso della ricorrente, la normativa censurata, per conseguire gli auspicati obiettivi di prevenzione sanitaria, adotta misure più severe di quelle che sarebbero strettamente necessarie. Per chiarire il punto, la Regione da un lato valorizza i risultati di copertura vaccinale e, più in generale, di salute collettiva conseguiti con il sistema autonomamente stabilito dal 2007, con la legge regionale 23 marzo 2007, n. 7 (Sospensione dell’obbligo vaccinale per l’età evolutiva), basato sulla persuasione e non sull’obbligo; dall’altro, ritiene insufficienti le clausole di esonero previste nel d.l. n. 73 del 2017, nonché la previsione (introdotta in sede di conversione) di una nuova valutazione, con possibile cessazione, di una parte degli obblighi vaccinali, da effettuarsi comunque non prima di tre anni.
Infine, sarebbe violato il principio di precauzione: sarebbe mancata una previa accurata valutazione della situazione epidemiologica, peraltro senza che sia mai stato sperimentato un tale ampliamento degli obblighi vaccinali. A questo proposito, la Regione fa altresì proprio il rilievo, emerso nel dibattito sulle norme censurate, secondo cui queste ultime avrebbero introdotto «una sorta di grottesca “sperimentazione di massa” obbligatoria (…), senza il sostegno di un preventivo sistema di farmacovigilanza e senza una supervisione bioetica».
1.4.2.– La Regione lamenta altresì la violazione dell’art. 97 Cost., nonché degli artt. 31, 32 e 34 Cost.: sarebbero compromessi il buon andamento dell’amministrazione regionale e, in particolare, la capacità di quest’ultima di erogare servizi sanitari ed educativi, nonché di governare la programmazione scolastica, a causa dei vincoli imposti dalle norme censurate e del particolare impegno che esse esigono sul fronte delle politiche vaccinali, distraendo risorse da altre destinazioni.
Nel secondo ricorso, la Regione evoca anche l’art. 5 Cost., per denunciare l’uniformità imposta dalla normativa censurata e la mancata considerazione della più equilibrata ed efficiente attuazione dei principi costituzionali già conseguita in ambito regionale.
1.5.– Il terzo e ultimo motivo di ricorso è rivolto (nel ricorso iscritto al r.r. n. 51 del 2017) contro l’art. 1, commi 1, 4 e 5, e gli artt. 3, 4, 5 e 7 del d.l. n. 73 del 2017, nonché (nel ricorso iscritto al r.r. n. 75 del 2017) contro l’art. 1, commi 1, 1-bis, 1-ter, 2, 3, 4 e 6-ter, e contro gli artt. 3, 3-bis, 4, 5, 5-quater e 7 del d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017.
Queste disposizioni violerebbero l’art. 81, terzo comma, Cost., con ridondanza sull’autonomia finanziaria regionale garantita dall’art. 119, primo e quarto comma, Cost., i quali sarebbero anche violati in via diretta, in quanto le norme oggetto della censura imporrebbero spese e responsabilità nuove alle amministrazioni sanitarie e alle istituzioni scolastiche ed educative, senza che sia stato previsto, né ovviamente coperto, alcun maggiore onere finanziario, essendosi al contrario introdotta (al comma 2 del censurato art. 7) una clausola di invarianza o neutralità finanziaria. A tale proposito, gli argomenti della Regione Veneto ripercorrono criticamente i contenuti della relazione tecnica allegata al disegno di legge, poi approvato come legge n. 119 del 2017, e (nel secondo ricorso) riprendono i rilievi formulati dal Servizio del bilancio del Senato nel corso dell’esame dello stesso disegno di legge. La ricorrente fornisce proprie stime in merito ai maggiori oneri, non coperti, che le disposizioni censurate porrebbero a suo carico.
2.– In via del tutto preliminare, i due giudizi devono essere riuniti, attesa la loro connessione (sentenze n. 220 del 2013, n. 216 del 2008 e n. 430 del 2007), e deve essere confermata l’inammissibilità degli interventi ad adiuvandum, per le ragioni indicate nell’ordinanza letta durante l’udienza del 21 novembre 2017, qui allegata.
3.– Prima di esaminare le questioni di legittimità costituzionale e nei limiti di quanto necessario a tale fine, occorre svolgere un duplice ordine di premesse, relative ad alcuni profili della normativa in materia vaccinale anteriore alle disposizioni censurate, al contesto in cui queste ultime hanno preso forma e ai loro contenuti.
3.1.– Alla vigilia del d.l. n. 73 del 2017, gli obblighi vaccinali generali per la popolazione in età pediatrica erano quelli previsti dalla legge 6 giugno 1939, n. 891 (Obbligatorietà della vaccinazione antidifterica), dalla legge 5 marzo 1963, n. 292 (Vaccinazione antitetanica obbligatoria), dalla legge 4 febbraio 1966, n. 51 (Obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica) e dalla legge 27 maggio 1991, n. 165 (Obbligatorietà della vaccinazione contro l’epatite virale B).
In queste leggi, la certificazione relativa all’esecuzione della vaccinazione era prevista come documentazione da presentare all’atto dell’iscrizione alle scuole primarie e ad altre collettività infantili (legge n. 891 del 1939, artt. 3-4; legge n. 292 del 1963, art. 3-bis, introdotto dall’art. 1 della legge 20 marzo 1968, n. 419, intitolata «Modificazioni alla legge 5 marzo 1963, n. 292, recante provvedimenti per la vaccinazione antitetanica obbligatoria»; legge n. 51 del 1966, art. 4; legge n. 165 del 1991, art. 2, anche con riguardo all’ammissione agli esami di licenza per gli studenti della scuola media inferiore). Nei casi di inottemperanza erano previste – anche per effetto della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) – sanzioni amministrative di carattere pecuniario, di importo da 30 a 154 euro (legge n. 419 del 1968, art. 3), da 10 a 154 euro (legge n. 51 del 1966, art. 3) e da 51 a 258 euro (legge n. 165 del 1991, art. 7; non era prevista una sanzione autonoma per l’omissione della vaccinazione antidifterica, solitamente somministrata, però, congiuntamente a quella antitetanica).
Inoltre, nell’ambito della disciplina dei servizi di medicina scolastica, preposti anche a funzioni di difesa contro le malattie infettive (d.P.R. 11 febbraio 1961, n. 264, recante «Disciplina dei servizi e degli organi che esercitano la loro attività nel campo dell’igiene e della sanità pubblica», artt. 9 e seguenti, specialmente art. 11, secondo comma, lettera b; d.P.R. 22 dicembre 1967, n. 1518, recante «Regolamento per l’applicazione del Titolo III del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 1961, n. 264, relativo ai servizi di medicina scolastica») veniva introdotta la regola generale secondo cui «[i] direttori delle scuole e i capi degli istituti di istruzione pubblica o privata non possono ammettere alla scuola o agli esami gli alunni che non comprovino, con la presentazione di certificato rilasciato ai sensi di legge, di essere stati sottoposti alle vaccinazioni e rivaccinazioni obbligatorie» (d.P.R. n. 1518 del 1967, art. 47, primo comma). Tale previsione fu superata in seguito (attraverso la novella dell’art. 47, appena citato, disposta dall’unico articolo del d.P.R. 26 gennaio 1999, n. 355, recante «Regolamento recante modificazioni al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1967, n. 1518, in materia di certificazioni relative alle vaccinazioni obbligatorie»), fermo restando il controllo sulle certificazioni relative alle vaccinazioni e rivaccinazioni obbligatorie all’atto dell’ammissione alle scuole o agli esami e la segnalazione delle eventuali omissioni, da parte dei responsabili delle scuole e degli istituti di istruzione, alle amministrazioni sanitarie, e fermo restando altresì, ricorrendone i presupposti, il potere dell’autorità sanitaria di adottare interventi d’urgenza, ai sensi dell’art. 117 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della l. 15 marzo 1997, n. 59).
3.2.– Frattanto, soprattutto a partire dal Piano sanitario nazionale per il triennio 1996-1998 (approvato con d.P.R. 23 luglio 1998), venivano fissati obiettivi di politica vaccinale, anche in termini di copertura per determinate coorti di popolazione, relativi a vaccinazioni ulteriori rispetto a quelle obbligatorie, considerate meritevoli di essere raccomandate e, per questo, offerte gratuitamente e attivamente – dunque con impegno e iniziativa diretta dei servizi sanitari – a tutti gli interessati. Ad esempio, già nel Piano sanitario appena citato era stabilito che la copertura vaccinale per la popolazione di età inferiore ai ventiquattro mesi, anche immigrata, oltre a quanto già previsto in materia di vaccinazioni obbligatorie, dovesse raggiungere almeno il 95 per cento su tutto il territorio nazionale per morbillo, rosolia, parotite, pertosse ed Haemophilus influenzae di tipo B (Hib). Gli obiettivi di copertura sono stati riconsiderati, confermati ed estesi negli atti di programmazione succedutisi nel corso degli anni: segnatamente, il Piano nazionale vaccini 1999-2000 (oggetto dell’accordo del 18 giugno 1999 sancito dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano – di seguito Conferenza Stato-Regioni); il Nuovo piano nazionale vaccini (NPNV) 2005-2007 (oggetto dell’accordo del 3 marzo 2005 sancito nuovamente dalla Conferenza Stato-Regioni); il Piano nazionale prevenzione vaccinale (PNPV) 2012-2014 (oggetto dell’intesa del 22 febbraio 2012 sancita dalla Conferenza Stato-Regioni); da ultimo, il PNPV 2017-2019 (oggetto di analoga intesa sancita il 19 gennaio 2017).
Nel contesto di questa graduale evoluzione e in funzione dei relativi obiettivi, sono stati altresì adottati una serie di calendari vaccinali, nei quali sono state riportate le vaccinazioni obbligatorie e raccomandate: dapprima con il decreto ministeriale 7 aprile 1999 (Nuovo calendario delle vaccinazioni obbligatorie e raccomandate per l’età evolutiva); successivamente con i calendari inclusi nel NPNV 2005-2007, nel PNPV 2012-2014 e nel PNPV 2017-2019.
3.3.– Parallelamente, sono emersi dubbi sulla capacità del già ricordato apparato sanzionatorio di contribuire in misura effettiva al raggiungimento degli obiettivi di politica vaccinale. Per questo, nonostante rimanessero in vigore le norme già citate in materia di vaccinazioni obbligatorie, a partire dal NPNV 2005-2007 si è consentito che un percorso per la sospensione sperimentale dell’obbligo vaccinale fosse intrapreso nelle Regioni nelle quali i servizi vaccinali avessero raggiunto determinate condizioni di efficacia ed efficienza (sistema informativo efficace, con anagrafe vaccinale ben organizzata; copertura adeguata; sistema di sorveglianza sensibile, specifico e integrato nei flussi informativi regionali e aziendali; monitoraggio degli eventi avversi).
In questa direzione si è mossa, tra le altre, la Regione Veneto, con la già citata legge regionale n. 7 del 2007, seguita da una serie di atti amministrativi, che hanno dato forma, nell’insieme, al sistema cui la difesa dell’odierna ricorrente ha più volte fatto riferimento in questo giudizio.
L’art. 1 di questa legge regionale è stato sospettato di illegittimità costituzionale, in quanto sospendeva gli obblighi vaccinali esclusivamente per i nati dal 1° gennaio 2008. Nel dichiarare inammissibile tale questione, sollevata in via incidentale in riferimento all’art. 3 Cost., per difetto di motivazione sulla rilevanza (ordinanza n. 87 del 2010), questa Corte ha peraltro osservato che la disposizione legislativa non era stata, «viceversa, apprezzata con riguardo all’osservanza, da parte del legislatore regionale, dei principi fondamentali in materia di tutela della salute, affidati dall’art. 117, terzo comma, Cost., alla competenza della legge statale».
3.4.– In breve, fermi gli obblighi di legge per le vaccinazioni “storiche” contro la difterite, il tetano, la poliomielite e l’epatite virale di tipo B, il legislatore nazionale in anni più recenti ha gradualmente esteso il novero delle vaccinazioni proposte gratuitamente e attivamente alla popolazione, includendovi, tra l’altro, tutte quelle considerate nel d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017. Nell’ultimo decennio, inoltre, si è consentito alle Regioni, a determinate condizioni, di sperimentare una sospensione temporanea degli obblighi legislativi, allo scopo di conseguire la copertura vaccinale esclusivamente attraverso la raccomandazione e la persuasione della popolazione interessata.
Tuttavia, da alcuni anni a questa parte, si è rilevata una tendenza al calo delle coperture vaccinali. In questa sede, basterà ricordare che, secondo il PNPV 2017-2019, in estrema sintesi, le coperture vaccinali sono cresciute fino a stabilizzarsi sino alla metà del primo decennio del 2000, raggiungendo il 95 per cento, ma non per morbillo, parotite e rosolia. Per contro, i dati più recenti (riferiti al 2015 e riguardanti la coorte 2013) confermano la tendenza al declino, in atto già nei tre anni precedenti.
Anche il «Report sull’attività vaccinale dell’anno 2016 – Copertura vaccinale a 24 mesi (coorte 2014)» della Regione Veneto (prodotto dalla parte ricorrente) parla di un «un continuo trend decrescente», rispetto al quale «per la prima volta dopo anni si rileva un cambio di tendenza», con riguardo all’ultima coorte considerata (2014).
3.5.– Analoghe preoccupazioni, del resto, avevano già dato adito a un dibattito nel quale si sono inserite, tra l’altro, la mozione «L’importanza delle vaccinazioni» approvata all’unanimità il 24 aprile 2015 dal Comitato nazionale di bioetica (CNB); il «Documento sui vaccini» approvato, anch’esso all’unanimità, l’8 luglio 2016 dal Consiglio della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri; il rapporto «I Vaccini» elaborato da un gruppo di lavoro dell’Accademia nazionale dei Lincei, del 12 maggio 2017 (di poco anteriore all’approvazione del d.l. n. 73 del 2017).
Pur nella varietà delle impostazioni, questi documenti convergono nello stigmatizzare il calo delle coperture e nel raccomandare maggiore impegno e responsabilità nella diffusione delle vaccinazioni contro le malattie prevenibili. In particolare, il CNB, nella predetta mozione, riteneva che dovessero «essere fatti tutti gli sforzi per raggiungere e mantenere una copertura vaccinale ottimale attraverso programmi di educazione pubblica e degli operatori sanitari, non escludendo l’obbligatorietà in casi di emergenza».
3.6.– Dagli ultimi mesi del 2016, alcune Regioni ed enti locali hanno previsto che l’assolvimento dell’obbligo vaccinale costituisca requisito di accesso ai servizi educativi della prima infanzia: si vedano, ad esempio, la legge della Regione Emilia-Romagna 25 novembre 2016, n. 19 (Servizi educativi per la prima infanzia. Abrogazione della L.R. 10 gennaio 2000, n. 1), art. 6, comma 2; la legge della Regione Calabria 22 febbraio 2017, n. 6, recante «Requisito di accesso ai servizi educativi per la prima infanzia. Modifiche alla l.r. 29 marzo 2013, n. 15 (Norme sui servizi educativi per la prima infanzia)»; inoltre, tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, progetti di legge analoghi sono stati presentati anche in Umbria, Lazio e Toscana, nonché in Friuli-Venezia Giulia.
La stessa Regione Veneto, come confermato dalla sua difesa, pur ribadendo la propria opzione a favore del superamento dell’obbligo vaccinale, ha dato atto che «[l]e ultime rilevazioni delle coperture vaccinali sia a livello nazionale che regionale mettono in evidenza un trend in diminuzione determinato dalla scarsa percezione del rischio da parte dei genitori per le vaccinazioni dell’infanzia» e ha preso provvedimenti al riguardo (deliberazione della Giunta regionale 29 novembre 2016, n. 1935), adottando tra l’altro procedure per la gestione della mancata adesione alle vaccinazioni e per il recupero delle coperture. In particolare, la Regione ha previsto che, all’atto dell’iscrizione a nidi e scuole dell’infanzia, debba essere nuovamente presentata (a differenza di quanto disposto in precedenza) la documentazione sulle avvenute vaccinazioni; che tale documentazione sia inviata al sindaco e al Servizio igiene e sanità pubblica (SISP) territorialmente competente, per la valutazione sul rischio individuale e collettivo di ammissione di bambini non vaccinati o vaccinati in modo incompleto; che spetti al sindaco, quale autorità sanitaria locale, assumere eventualmente la decisione di allontanare temporaneamente i bambini in questa situazione o di non ammetterli alla frequenza, su parere del SISP.
3.7.– Si inserisce in questo contesto anche il PNPV 2017-2019, varato pochi mesi prima del decreto-legge impugnato, il quale manteneva una posizione interlocutoria sull’obbligo vaccinale e sull’eventualità del suo superamento, laddove osservava che il percorso in questa direzione, anche sulla base delle esperienze regionali, avrebbe dovuto essere oggetto di approfondimento, con la possibilità di generare «una normazione aggiornata, garantendo, peraltro, la protezione degli individui e delle comunità, con misure correlate, come, ad esempio, l’obbligo di certificazione dell’avvenuta effettuazione delle vaccinazioni previste dal calendario per l’ingresso scolastico».
3.8.– Nel corso del 2017, peraltro, dopo la pubblicazione del PNPV 2017-2019, ulteriori preoccupazioni sono insorte a seguito di un’epidemia di morbillo, che ha avuto il suo picco nella primavera, con caratteristiche particolari anche per il numero dei casi (4.885, con 4 decessi, secondo il bollettino pubblicato settimanalmente dell’Istituto superiore di sanità, ISS, aggiornato al 12 dicembre 2017), l’età mediana dei pazienti (27 anni) e il tasso di complicanze e ospedalizzazione.
4.– In questo contesto, interviene il d.l. n. 73 del 2017, del quale è opportuno ora passare in rassegna i contenuti, prima e dopo la conversione disposta dalla legge n. 119 del 2017.
4.1.– Inizialmente l’art. 1, comma 1, prevedeva dodici vaccinazioni obbligatorie e gratuite: oltre alle quattro storicamente obbligatorie (contro difterite, tetano, poliomielite ed epatite B), quelle contro pertosse, Hib, meningococco di tipo B e C, morbillo, rosolia, parotite e varicella. L’obbligo riguarda i minori di età compresa tra zero e sedici anni, «in base alle specifiche indicazioni del Calendario vaccinale relativo a ciascuna coorte di nascita».
Poiché tutte le vaccinazioni in esame erano già previste nei calendari vaccinali, nei termini ivi stabiliti, ed esattamente negli stessi termini sono rese obbligatorie dal decreto-legge impugnato, nessuna di esse è propriamente nuova: nuovi sono, invece, solo gli obblighi e le misure, anche sanzionatorie, destinate a renderli effettivi. Pertanto, il decreto-legge non ha introdotto nuove vaccinazioni, ma ha ripristinato ovvero esteso l’obbligo di sottoporre i minori alle vaccinazioni già previste dai piani sanitari.
I commi 2 e 3 dell’art. 1 individuavano due fattispecie di deroga agli obblighi di vaccinazione, nei casi di immunizzazione a seguito di malattia naturale comprovata, nonché nei casi di pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate: in questi casi, le vaccinazioni possono essere omesse o differite.
In sede di conversione, all’art. 1 si è esplicitato che gli obblighi riguardano anche i minori stranieri non accompagnati.
Inoltre, fermo restando il rinvio alle specificazioni del calendario vaccinale nazionale riferito a ciascuna coorte di nascita, le vaccinazioni obbligatorie e gratuite sono ridotte da dodici a dieci. Restano obbligatorie, quelle contro poliomielite, difterite, tetano ed epatite B, nonché contro pertosse e Hib (comma 1); sono altresì obbligatorie le vaccinazioni contro morbillo, rosolia, parotite e varicella (comma 1-bis).
Non sono obbligatorie, ma vengono offerte attivamente e gratuitamente le vaccinazioni anti-meningococcica B e C e, inoltre, quelle contro pneumococco e rotavirus (comma 1-quater).
La legge di conversione ha altresì introdotto il comma 1-ter, il quale prevede che per le vaccinazioni di cui al comma 1-bis, decorsi tre anni dall’entrata in vigore della legge di conversione e poi con cadenza triennale, il Ministro della salute può con proprio decreto disporre la sospensione dell’obbligo, alla luce delle risultanze delle verifiche dei dati epidemiologici, delle reazioni avverse e delle coperture raggiunte e seguendo una procedura che coinvolge organismi tecnico-scientifici, la Conferenza Stato-Regioni e le commissioni parlamentari competenti.
4.2.– Quanto alle sanzioni da applicarsi in caso di inadempimento, la legge di conversione ha introdotto significative modificazioni. Nel decreto-legge iniziale, l’art. 1, comma 4, primo periodo, comminava una sanzione amministrativa pecuniaria, da 500 a 7.500 euro nei confronti di genitori e tutori in caso di inosservanza di tutti gli obblighi vaccinali. La relazione illustrativa del disegno di legge di conversione (XVII Legislatura, A.C. n 4533, presentato il 7 giugno 2017 e trasferito il giorno dopo all’altro ramo del Parlamento come A.S. n. 2856) sottolineava che si trattava di una sanzione da 10 a 30 volte superiore a quelle vigenti, ma da applicare una sola volta, a prescindere dal numero di vaccinazioni omesse, in relazione a ciascuna contestazione, ai sensi dell’art. 8 della legge n. 689 del 1981 (il punto è ribadito nelle circolari successive alla conversione del decreto-legge).
Prima di procedere all’applicazione delle sanzioni, il secondo periodo del comma 4 prevedeva una preventiva fase di contestazione, da parte dell’azienda sanitaria locale (ASL), con esclusione della sanzione qualora il vaccino (o la prima dose) fosse somministrato nel termine indicato nell’atto di contestazione (e tutto il ciclo, con le dosi successive alla prima, fosse completato nei tempi stabiliti). Il terzo periodo del comma 4 faceva rinvio, per l’accertamento, la contestazione e l’irrogazione delle sanzioni in esame, alle norme generali (in quanto compatibili) sulle sanzioni amministrative di cui al Capo I, Sezioni I e II, della legge n. 689 del 1981.
Il comma 5 prevedeva che, decorsi inutilmente i termini di cui al comma 4, l’ASL segnalasse le violazioni alla procura della repubblica presso il tribunale per i minorenni per gli eventuali adempimenti di competenza.
Dopo la conversione, il comma 4 – che ora fa riferimento anche agli affidatari, oltre che a genitori e tutori – esplicita un punto già emerso nelle circolari emanate in relazione al decreto-legge originario (e ribadito in quelle relative al decreto-legge convertito): gli inadempienti sono anzitutto «convocati dall’azienda sanitaria locale territorialmente competente per un colloquio al fine di fornire ulteriori informazioni sulle vaccinazioni e di sollecitarne l’effettuazione» (primo periodo). È confermato che all’eventuale, successiva contestazione da parte dell’ASL non segue una sanzione, se nel termine indicato dalla stessa ASL ha luogo la vaccinazione o la somministrazione della prima dose (sempre che poi il ciclo sia debitamente completato).
In caso di inottemperanza, viene comminata una sanzione, significativamente ridotta rispetto alla misura prevista nel decreto-legge originario: da un minimo di 100 a un massimo di 500 euro (in luogo di un minimo di 500 a un massimo di 7.500 euro).
Il comma 5 dell’art. 1, recante la segnalazione dell’inadempimento alla procura della repubblica presso il tribunale per i minorenni, è stato soppresso.
È stato inserito il comma 6-ter, il quale, a garanzia del conseguimento degli obiettivi del calendario vaccinale nazionale, prevede funzioni di verifica e di impulso da parte della Commissione per il monitoraggio dell’attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e prevede altresì l’esercizio di poteri sostitutivi da parte del Governo a norma dell’art. 120, secondo comma, Cost., e dell’art. 8 della legge n. 131 del 2003, in presenza «di specifiche condizioni di rischio elevato per la salute pubblica».
4.3.– Gli artt. da 3 a 5 disciplinano la verifica degli adempimenti vaccinali al momento dell’iscrizione e altri profili di competenza dell’amministrazione scolastica.
Ai sensi dell’art. 3 (che in sede di conversione ha subito modifiche che non occorre qui menzionare), all’atto dell’iscrizione del minore ed entro il termine previsto a tal fine, i responsabili delle istituzioni educative sono tenuti a richiedere ai genitori o ai tutori la presentazione, in alternativa, di una delle seguenti documentazioni (comma 1): la certificazione dell’avvenuta effettuazione delle vaccinazioni, o del differimento o esonero; una dichiarazione sostitutiva, con successiva presentazione delle certificazioni; la richiesta delle vaccinazioni presentata all’ASL. La mancata presentazione di almeno uno di tali documenti (comma 2) è segnalata dai dirigenti entro 10 giorni alle ASL.
In merito all’ammissione alle strutture educative, il decreto opera, al comma 3 dell’art. 3, una distinzione: nei servizi educativi per l’infanzia e nelle scuole dell’infanzia, la presentazione della documentazione costituisce requisito di accesso; in tutte le altre scuole, la mancata presentazione non impedisce né la frequenza, né gli esami.
L’art. 3-bis, introdotto in sede di conversione, prevede una semplificazione degli adempimenti in esame a carico delle famiglie, a decorrere dall’anno scolastico 2019/2020.
L’art. 4, convertito con modifiche al testo originario irrilevanti in questa sede, concerne l’inserimento nelle classi dei minori che non abbiano effettuato le vaccinazioni obbligatorie: li si dovrebbe inserire, di norma, in classi nelle quali siano presenti solo minori vaccinati o immunizzati, fermi restando il numero delle classi determinato secondo le disposizioni vigenti e i limiti delle dotazioni organiche del personale derivanti dalle norme richiamate nello stesso art. 4. Inoltre, i dirigenti devono comunicare annualmente all’ASL le classi nelle quali sono presenti più di due minori non vaccinati.
L’art. 5 (modificato in sede di conversione) detta norme transitorie per l’anno scolastico 2017/2018.
4.4.– La legge n. 119 del 2017 ha, inoltre, inserito nel d.l. n. 73 del 2017 gli artt. 5-bis, 5-ter e 5-quater, dedicati alla materia degli indennizzi di cui alla legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati). In particolare, l’art. 5-quater prevede: «[l]e disposizioni di cui alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, si applicano a tutti i soggetti che, a causa delle vaccinazioni indicate nell’articolo 1, abbiano riportato lesioni o infermità dalle quali sia derivata una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica».
4.5.– L’art. 7 del d.l. n. 73 del 2017 – non modificato in sede di conversione – detta le disposizioni finanziarie. Il comma 1 dà copertura agli oneri di cui all’art. 2, comma 3 (campagne informative). Il comma 2 riporta la clausola di invarianza o neutralità finanziaria: «[d]all’attuazione del presente decreto, a eccezione delle disposizioni di cui all’articolo 2, comma 3, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Il comma 3 conferisce le usuali autorizzazioni al Ministro dell’economia e delle finanze per le conseguenti variazioni di bilancio.
Singole misure di spesa, introdotte in sede di conversione dalla legge n. 119 del 2017, sono state coperte con distinte disposizioni introdotte nel testo del decreto (così l’art. 4-bis, in materia di anagrafe vaccinale e l’art. 5-ter, in materia di personale comandato per la gestione delle pratiche indennitarie).
5.– Ciò premesso, è possibile svolgere un primo gruppo di considerazioni preliminari sull’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione Veneto.
5.1.– Sono inammissibili le questioni sollevate, nel secondo ricorso, contro l’art. 1, comma 6-ter, del d.l. n. 73 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2017, relativa ai compiti della Commissione per il monitoraggio dell’attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA).
Questa disposizione è considerata nella premessa in fatto del ricorso, nonché nell’epigrafe dei singoli motivi. Tuttavia, nell’esposizione delle censure è completamente ignorata, non rilevandosi alcuna argomentazione in merito ai profili di contrasto tra i contenuti specifici di questo comma e i parametri costituzionali invocati. Considerato che, oltretutto (come si dirà meglio più avanti), i LEA ricomprendono un numero di vaccinazioni più elevato di quelle previste dal d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017, il difetto argomentativo è causa di inammissibilità delle censure, conformemente alla giurisprudenza costante di questa Corte (sentenze n. 197, n. 107, n. 105 del 2017; n. 273, n. 265, n. 249, n. 239, n. 141 e n. 63 del 2016; n. 251, n. 233, n. 218, n. 153 e n. 142 del 2015).
5.2.– Devono essere respinte le eccezioni della difesa statale, secondo cui non vi sarebbe alcuna ridondanza sulle attribuzioni regionali delle questioni prospettate dalla difesa regionale in riferimento a parametri estranei al Titolo V della Parte seconda della Costituzione.
Le Regioni possono evocare tali parametri quando le violazioni così denunciate siano potenzialmente idonee a ripercuotersi sulle loro attribuzioni costituzionali, sempre che motivino sufficientemente sul punto, indicando sia la specifica competenza asseritamente offesa, sia le ragioni della lesione (si vedano, ad esempio, le sentenze n. 13 del 2017, n. 141, n. 110, n. 29 e n. 8 del 2016; con riguardo alla violazione dell’art. 77 Cost., le sentenze n. 287, n. 244 e n. 65 del 2016; con riguardo alla violazione dell’art. 81 Cost., oltre alle già citate sentenze n. 244 e n. 8 del 2016, le sentenze n. 127 del 2016 e n. 252 del 2015). È invece escluso che parametri estranei al riparto delle attribuzioni costituzionali possano essere invocati allorché una Regione pretenda di agire «a tutela della popolazione di cui la stessa è espressione in ordine a materie e valori costituzionalmente garantiti» (sentenza n. 116 del 2006, relativamente a censure sviluppate anche in riferimento all’art. 32 Cost.).
Nel caso odierno, la Regione si avvicina a questo crinale, allorché si diffonde in argomenti incentrati su diritti individuali, come quello di autodeterminazione in materia sanitaria. Nondimeno, in entrambi i ricorsi i requisiti di ammissibilità possono ritenersi soddisfatti: la Regione ha indicato le proprie attribuzioni che sarebbero incise, con l’immediatezza tipica delle misure dettate in via d’urgenza, dalle norme in questione; la Regione ha altresì descritto il proprio attuale sistema di promozione vaccinale, segnalando le frizioni che si verrebbero a creare implementando il diverso modello ora adottato dal legislatore nazionale; in questo modo, la ricorrente ha rappresentato i condizionamenti che l’autonomia legislativa e amministrativa regionale subirebbe a causa dalle scelte imposte dalle nuove norme statali.
Tanto è sufficiente ai fini dell’ammissibilità, sotto il profilo considerato.
Attiene, poi, al merito delle questioni stabilire se – come la difesa statale argomenta nelle eccezioni ora in esame – le norme contestate rappresentino o meno un legittimo esercizio delle prerogative dello Stato e se, dunque, la compressione dell’autonomia regionale debba ritenersi fisiologica.
5.3.– Deve ritenersi cessata la materia del contendere in relazione ad alcune delle disposizioni impugnate nel ricorso n. 51 del 2017, per effetto delle modifiche apportate, in sede di conversione, dalla legge n. 119 del 2017.
5.3.1.– Al riguardo, in primo luogo, si deve confermare un orientamento costante della giurisprudenza di questa Corte, in base al quale la materia del contendere cessa solo se lo ius superveniens ha carattere satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e se le disposizioni censurate non hanno avuto medio tempore applicazione (tra le molte, le sentenze n. 33 e n. 8 del 2017, nonché le sentenze n. 263 e n. 147 del 2016). Questo vale anche allorché sia censurato un decreto-legge e le novità normative siano introdotte dalla legge di conversione dello stesso (si vedano, ad esempio, le sentenze n. 311 del 2012, n. 153 del 2011, n. 200 del 2009).
In secondo luogo, occorre precisare, con specifico riguardo ai ricorsi aventi ad oggetto decreti-legge, che possono considerarsi satisfattive non solo le modifiche che corrispondono alle pretese avanzate dalle ricorrenti, ma anche la pura e semplice soppressione delle disposizioni censurate (sentenze n. 153 del 2011), quando non è prevista alcuna salvezza degli effetti eventualmente prodottisi (sentenza n. 200 del 2009). Similmente, possono considerarsi satisfattive le modifiche delle disposizioni del decreto-legge che, per il loro contenuto, equivalgano a un rifiuto parziale di conversione (sentenza n. 367 del 2010) e, pertanto, travolgano con effetto ex tunc la norma emendata per la parte non convertita (stabilendo contestualmente una nuova norma, valida solo per il futuro, secondo il principio di cui all’art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri»). In tutti questi casi, occorre comunque verificare che la norma censurata originariamente non abbia avuto applicazione nel frattempo.
5.3.2.– Alla luce di tali principi, la materia del contendere può ritenersi cessata limitatamente all’art. 1, commi 4 e 5, del d.l. n. 73 del 2017, per effetto delle modifiche apportate dalla legge di conversione n. 119 del 2017.
Infatti, l’art. 1, comma 5, è stato puramente e semplicemente soppresso. Considerato che la segnalazione alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni ivi prevista avrebbe dovuto avvenire al termine di un complesso procedimento, di cui al precedente comma 4, è ragionevole ritenere che sia mancata l’applicazione medio tempore.
L’art. 1, comma 4, è stato oggetto di modifiche incisive: è stato esplicitamente introdotto un previo colloquio personale presso la ASL con i genitori, tutori o affidatari; le sanzioni amministrative sono state drasticamente ridotte. Modifiche siffatte, pur non rispondendo di per sé alle pretese di parte ricorrente, debbono considerarsi equivalenti a una mancata conversione parziale delle previsioni originarie con effetto ex tunc, ferma restando l’efficacia per il futuro della disposizione come convertita. Considerato che l’originario art. 1, comma 4, è rimasto in vigore solo per breve periodo e che la Regione non ha formulato deduzioni in merito alla sua applicazione – quando ben avrebbe potuto farlo, se ciò fosse accaduto, considerato che sono coinvolte amministrazioni regionali (si veda, al riguardo, la sentenza n. 142 del 2016) – possono ritenersi sussistenti, anche in questo caso, le condizioni per la cessazione della materia del contendere.
Alla stessa conclusione può giungersi anche con riguardo alle lettere g e h dell’art. 1, comma 1, relative alle vaccinazioni contro il meningococco di tipo B e C, che in seguito alla legge n. 119 del 2017 non sono più obbligatorie, ma solo raccomandate. Si tratta di una modifica non solo radicale, nell’ambito ch’essa concerne, ma anche satisfattiva delle doglianze della Regione, la quale, infatti, non ha impugnato l’art. 1, comma 1-quater, del d.l. n. 73 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2017. Inoltre, non sono state fatte deduzioni in merito a casi nei quali le vaccinazioni stesse risultino eseguite non per effetto delle preesistenti e ripristinate raccomandazioni, bensì in forza dell’obbligo sancito nella versione iniziale del decreto-legge e delle misure preordinate a renderlo effettivo.
5.3.3.– Le altre disposizioni censurate nel ricorso n. 51 del 2017 non sono state modificate in sede di conversione (art. 7), oppure lo sono state, ma senza che ne fosse alterato il contenuto precettivo nei punti qui di interesse. Pertanto, non sussistono i presupposti per dichiarare cessata la materia del contendere e lo scrutinio va condotto avendo riguardo al testo risultante dalla legge di conversione, tenendo conto delle argomentazioni svolte in entrambi i ricorsi, peraltro in larga parte coincidenti (sentenza n. 430 del 2007).
6.– Le questioni sollevate in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost. non sono fondate.
6.1.– Sin dalla sentenza n. 29 del 1995 la giurisprudenza costituzionale ha costantemente affermato che i presupposti di necessità e urgenza di cui all’art. 77 Cost. costituiscono requisiti di validità dei decreti-legge e che perciò rientra nei poteri di questa Corte verificarne la sussistenza.
Altrettanto costantemente, peraltro, questa Corte ha ritenuto di dover circoscrivere il suo sindacato alla evidente mancanza di tali presupposti, distinguendo il proprio giudizio dalla valutazione prettamente politica spettante alle Camere in sede di conversione dei decreti-legge: infatti, l’art. 77 Cost. è connotato da «un largo margine di elasticità» (sentenza n. 171 del 2007; si veda anche la sentenza n. 93 del 2011), sicché solo l’evidente insussistenza di una situazione di fatto comportante la necessita` e l’urgenza di provvedere determina tanto un vizio del decreto-legge, quanto un vizio in procedendo della legge che ne disponga la conversione (da ultimo sentenza n. 170 del 2017).
Al fine di giudicare sui presupposti di cui all’art. 77, secondo comma, Cost., questa Corte ha dato rilievo a una pluralità di indici intrinseci ed estrinseci: titolo, preambolo, contenuto e ratio del decreto-legge, relazione illustrativa del disegno di legge di conversione, lavori parlamentari.
6.2.– Applicando i principi appena richiamati al caso di specie, occorre anzitutto osservare che il preambolo del d.l. n. 73 del 2017 fa riferimento alla necessità di «garantire in maniera omogenea sul territorio nazionale le attività dirette alla prevenzione, al contenimento e alla riduzione dei rischi per la salute pubblica e di assicurare il costante mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza epidemiologica in termini di profilassi e di copertura vaccinale»; nonché di assicurare «il rispetto degli obblighi assunti e delle strategie concordate a livello europeo e internazionale e degli obiettivi comuni fissati nell’area geografica europea». Analoghe espressioni sono riprese nel testo dell’art. 1, comma 1, del decreto-legge, alle quali è stato aggiunto, in sede di conversione, un riferimento alla finalità di conseguire gli obiettivi prioritari del PNPV 2017-2019.
La relazione illustrativa al disegno di legge di conversione, per quanto qui interessa, ripercorre la storia legislativa delle vaccinazioni, sottolineando il calo delle coperture vaccinali negli ultimi anni, la presenza nel Paese di malattie prevenibili (tra cui il morbillo che si ripresenta periodicamente in forma epidemica), che hanno indotto Regioni ed enti locali ad assumere iniziative per controllare l’accesso ai servizi per l’infanzia. La relazione si diffonde sulle ragioni che giustificano l’imposizione dell’obbligo per ciascuna delle vaccinazioni previste, corroborando le argomentazioni con dati relativi alle coperture già raggiunte e all’incidenza delle singole malattie. Essa pone poi attenzione al fatto che anche malattie scomparse nel Paese non sono del tutto eradicate e potrebbero tornare, anche come conseguenza dei flussi migratori (ad esempio, si riferisce di un focolaio di poliomielite emerso in Siria). Riportandosi alle statistiche dell’OMS (World Health Statistics, pubblicate nel maggio 2017), la relazione registra per l’Italia una copertura vaccinale del 93 per cento, inferiore a quella riscontrata in numerosi Stati europei.
Proseguendo nell’esame degli indici più significativi al fine della valutazione sui presupposti del decreto-legge, si deve ancora dare conto del fatto che nel corso dell’istruttoria legislativa compiuta sul disegno di legge di conversione dalla 12a Commissione permanente del Senato (Igiene e sanità), l’Ufficio regionale europeo dell’OMS ha espresso preoccupazione per la situazione italiana corrente, con riguardo alle malattie prevenibili mediante vaccino e, in particolare, al morbillo, nonché alla tendenza delle coperture vaccinali a ristagnare o regredire. La lettera dell’OMS sottolinea altresì l’importanza dell’obbligo vaccinale, nonché l’utilità del controllo della storia vaccinale dei bambini al momento dell’iscrizione scolastica.
6.3.– Alla luce degli elementi appena evidenziati e in considerazione del contesto in cui si inserisce il d.l. n. 73 del 2017 – caratterizzato, tra l’altro, da una tendenza al calo delle coperture vaccinali (v. supra punto 3.4 del Considerato in diritto) – non può ritenersi che il Governo, prima, e il Parlamento, poi, abbiano ecceduto i limiti dell’ampio margine di discrezionalità che spetta loro, ai sensi dell’art. 77, secondo comma, Cost., nel valutare i presupposti di straordinaria necessità e urgenza che giustificano l’adozione di un decreto-legge in materia.
6.4.– Nessuno degli argomenti spesi in senso contrario dalla Regione Veneto è convincente. Anzitutto, è opinabile il rilievo secondo cui la soglia del 95 per cento dovrebbe considerarsi ottimale e non critica: una tale distinzione non sembra avere riscontro in alcuno degli atti di indirizzo delle competenti istituzioni nazionali e internazionali; anzi, in almeno un’occasione e in riferimento alla «copertura vaccinale per morbillo-parotite-rosolia», il PNPV 2017-2019 definisce il 95 per cento «soglia critica necessaria a bloccare la circolazione del virus e, quindi, a raggiungere l’obiettivo di eliminazione previsto per il 2015 nella regione Europea dell’OMS». In ogni caso, decisiva è la considerazione che gli obiettivi mancati corrispondono a quelli previsti dai diversi piani vaccinali adottati in Italia nel corso degli anni e, da ultimo, dal PNPV 2017-2019 appena citato. A fronte di una copertura vaccinale insoddisfacente nel presente e incline alla criticità nel futuro, questa Corte ritiene che rientri nella discrezionalità – e nella responsabilità politica – degli organi di governo apprezzare la sopraggiunta urgenza di intervenire, alla luce dei nuovi dati e dei fenomeni epidemiologici frattanto emersi, anche in nome del principio di precauzione che deve presidiare un ambito così delicato per la salute di ogni cittadino come è quello della prevenzione.
Per quanto poi riguarda l’epidemia di morbillo dell’anno 2017, il fatto che essa colpisca specialmente una certa fascia (adulta) della popolazione non contraddice l’opportunità di incrementare la profilassi nella popolazione in età evolutiva, sia per la protezione di quest’ultima, sia per invertire la tendenza al calo delle coperture.
Neppure potrebbe negarsi – come sembra fare la ricorrente – che i provvedimenti adottati abbiano di per sé efficacia immediata: basti osservare che la normativa in esame dispone un obbligo non differibile, sia pure scandendo specifici termini per ciascuna delle vaccinazioni previste e articolando i necessari passaggi procedurali, secondo una tecnica normativa ragionevole, considerata la capillarità dell’impatto. In ogni caso, questa Corte ha ancora di recente rilevato che «la straordinaria necessità ed urgenza non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni normative contenute nel decreto-legge, ma ben può fondarsi sulla necessità di provvedere con urgenza, anche laddove il risultato sia per qualche aspetto necessariamente differito» (sentenza n. 16 del 2017).
Ancora: in una delle sue memorie, la Regione Veneto scrive che, se si ripresentassero casi sporadici di malattie attualmente assenti dal territorio nazionale, «si può essere certi che le coperture vaccinali balzerebbero in pochi giorni al 100%!». Una tale considerazione rivela una indebita sovrapposizione concettuale tra urgenza del provvedere ed emergenza sanitaria: la copertura vaccinale è strumento di prevenzione e richiede di essere messa in opera indipendentemente da una crisi epidemica in atto. Deve perciò concludersi che rientra nella discrezionalità del Governo e del Parlamento intervenire prima che si verifichino scenari di allarme e decidere – a fronte di una prolungata situazione di insoddisfacente copertura vaccinale– di non attendere oltre nel fronteggiarla con misure straordinarie, anche in vista delle scadenze legate all’avvio dell’anno scolastico.
7.– Le questioni sollevate in relazione alle garanzie costituzionali dell’autonomia legislativa e amministrativa regionale (artt. 5, 117, secondo e terzo comma, e 118 Cost.) sono in parte inammissibili e in parte non fondate.
7.1.– Sono inammissibili per carenza e genericità della motivazione le censure riferite agli artt. 5 e 118 Cost.
Quanto alla violazione dell’art. 118 Cost., la ricorrente lamenta l’impatto negativo che la nuova normativa statale produrrebbe sull’amministrazione regionale, ma non elabora adeguatamente la doglianza nei suoi lineamenti giuridici. La Regione avrebbe dovuto almeno precisare quali fra i principi previsti nella disposizione costituzionale invocata sarebbero stati violati, e sotto quale profilo; ciò sarebbe stato tanto più necessario a fronte di un parametro costituzionale di particolare ampiezza normativa, qual è l’art. 118 Cost. (sentenze n. 192 del 2017 e n. 239 del 2016).
Le medesime considerazioni valgono, a maggior ragione, in riferimento all’art. 5 Cost. La ricorrente si limita a stigmatizzare l’uniformità della normativa statale e la mancata valorizzazione della legislazione regionale in materia, sicché risulta persino difficile comprendere lo specifico e autonomo profilo di illegittimità costituzionale lamentato in relazione a tale parametro.
7.2.– Le questioni promosse in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, Cost., riescono invece a raggiungere la soglia dell’ammissibilità, ma non sono fondate.
La normativa in esame interseca indubbiamente una pluralità di materie, alcune delle quali anche di competenza regionale, come la tutela della salute e l’istruzione; nondimeno, debbono ritenersi chiaramente prevalenti i profili ascrivibili alle competenze legislative dello Stato (come evidenziato anche dal parere pronunciato, su richiesta del Presidente della Regione Veneto, dal Consiglio di Stato, Commissione Speciale, 20 settembre 2017, affare n. 1614/2017 – n. 265/2017, spedito in data 26 settembre 2017). Vengono in rilievo specificamente le potestà legislative dello Stato relative a: principi fondamentali in materia di tutela della salute, livelli essenziali di assistenza, profilassi internazionale e norme generali sull’istruzione.
Del resto, l’evoluzione storica della normativa in materia di vaccinazioni, in parte già ripercorsa (v. supra, punto 3 del Considerato in diritto) denota che, anche prima dell’impugnato d.l. n. 73 del 2017, da lungo tempo la legislazione statale ha previsto norme in materia di obblighi vaccinali.
7.2.1.– Conviene aggiungere che, per quanto qui interessa, i vaccini sono stati inclusi non solo negli atti nazionali di programmazione sanitaria più volte richiamati, ma anche nei LEA – tanto nel testo del 2001 (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, recante «Definizione dei livelli essenziali di assistenza») quanto nel recente testo del 2017 (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017, recante «Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502»).
7.2.2.– L’introduzione dell’obbligatorietà per alcune vaccinazioni chiama in causa prevalentemente i principi fondamentali in materia di «tutela della salute», pure attribuiti alla potestà legislativa dello Stato ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.
Questa Corte ha già chiarito che il diritto della persona di essere curata efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica, e di essere rispettata nella propria integrità fisica e psichica (sentenze n. 169 del 2017, n. 338 del 2003 e n. 282 del 2002) deve essere garantito in condizione di eguaglianza in tutto il paese, attraverso una legislazione generale dello Stato basata sugli indirizzi condivisi dalla comunità scientifica nazionale e internazionale. Tale principio vale non solo (come ritenuto nelle sentenze appena citate) per le scelte dirette a limitare o a vietare determinate terapie o trattamenti sanitari, ma anche per l’imposizione di altri. Se è vero che il «confine tra le terapie ammesse e terapie non ammesse, sulla base delle acquisizioni scientifiche e sperimentali, è determinazione che investe direttamente e necessariamente i principi fondamentali della materia» (sentenza n. 169 del 2017), a maggior ragione, e anche per ragioni di eguaglianza, deve essere riservato allo Stato – ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. – il compito di qualificare come obbligatorio un determinato trattamento sanitario, sulla base dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche disponibili.
Nella specie, poi, la profilassi per la prevenzione della diffusione delle malattie infettive richiede necessariamente l’adozione di misure omogenee su tutto il territorio nazionale. Secondo i documenti delle istituzioni sanitarie nazionali e internazionali, l’obiettivo da perseguire in questi ambiti è la cosiddetta “immunità di gregge”, la quale richiede una copertura vaccinale a tappeto in una determinata comunità, al fine di eliminare la malattia e di proteggere coloro che, per specifiche condizioni di salute, non possono sottoporsi al trattamento preventivo.
Pertanto, in questo ambito, ragioni logiche, prima che giuridiche, rendono necessario un intervento del legislatore statale e le Regioni sono vincolate a rispettare ogni previsione contenuta nella normativa statale, incluse quelle che, sebbene a contenuto specifico e dettagliato, per la finalità perseguita si pongono in rapporto di coessenzialità e necessaria integrazione con i principi di settore (sentenze n. 192 del 2017, n. 301 del 2013, n. 79 del 2012 e n. 108 del 2010). Ciò è vero in particolare nel caso odierno, in cui il legislatore, alla luce della situazione già descritta, ha ritenuto di impiegare l’incisivo strumento dell’obbligo, con il necessario corredo di norme strumentali e sanzionatorie, le quali a propria volta concorrono in maniera sostanziale a conformare l’obbligo stesso e a calibrare il bilanciamento tra i diversi interessi costituzionalmente rilevanti. In senso analogo, la giurisprudenza costituzionale ha qualificato come coessenziali ai principi fondamentali della materia disposizioni pur specifiche che prevedono sanzioni amministrative e regolano il procedimento volto ad irrogarle e, ancor prima, ad accertare le trasgressioni (ad esempio, nelle sentenze n. 63 del 2006 e n. 361 del 2003).
Parimenti, la potestà legislativa dello Stato in materia di «tutela della salute» sorregge anche la previsione degli obblighi vaccinali nei confronti dei minori stranieri: infatti, non solo la protezione vaccinale attiene al nucleo irriducibile del diritto alla salute, che spetta a ciascun essere umano (sentenze n. 299 e n. 269 del 2010, n. 252 del 2001); ma gli obiettivi di tutela della salute (anche) pubblica perseguiti attraverso la profilassi preventiva contro le malattie infettive sarebbero frustrati se determinate categorie di persone presenti sul territorio fossero escluse dalla copertura vaccinale.
7.2.3.– In relazione a quest’ultimo profilo, poi, viene anche in rilievo la competenza di «profilassi internazionale» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera q, Cost., nella misura in cui le norme in questione servono, come detto, a garantire uniformità anche nell’attuazione, in ambito nazionale, di programmi elaborati in sede internazionale e sovranazionale (come più volte ritenuto da questa Corte, sia pure nel settore veterinario: sentenze n. 270 del 2016, n. 173 del 2014, n. 406 del 2005, n. 12 del 2004).
7.2.4.– Infine, le disposizioni in materia di iscrizione e adempimenti scolastici (artt. 3, 3-bis, 4 e 5 del d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017) si configurano come «norme generali sull’istruzione» (art. 117, secondo comma, lettera n, Cost.). Infatti, esse mirano a garantire che la frequenza scolastica avvenga in condizioni sicure per la salute di ciascun alunno, o addirittura (per quanto riguarda i servizi educativi per l’infanzia) non avvenga affatto in assenza della prescritta documentazione. Pertanto, queste norme vengono a definire caratteristiche basilari dell’assetto ordinamentale e organizzativo del sistema scolastico (sentenze n. 284 del 2016, n. 62 del 2013, n. 279 del 2012) e ricadono nella potestà del legislatore statale.
7.2.5.– Dinanzi a un intervento fondato su tali e tanti titoli di competenza legislativa dello Stato, le attribuzioni regionali recedono, dovendosi peraltro rilevare che esse continuano a trovare spazi non indifferenti di espressione, ad esempio con riguardo all’organizzazione dei servizi sanitari e all’identificazione degli organi competenti a verificare e sanzionare le violazioni.
8.– Occorre, a questo punto, esaminare le questioni con cui la Regione denuncia la violazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost., nonché degli artt. 31, 32, 34 e 97 Cost., evidenziandone le ricadute sulle proprie attribuzioni costituzionalmente garantite.
8.1.– Le questioni sollevate in riferimento agli artt. 31, 32, 34 e 97 Cost. sono inammissibili, per carenza assoluta di motivazione, alla stregua dei principi della giurisprudenza costituzionale già richiamati più volte.
La difesa di parte ricorrente «non adduce argomenti sufficienti a illustrare perché gli eventuali processi di riorganizzazione (oltre che imposti alla Regione, e non da questa autonomamente determinati) sarebbero altresì (…) tali da compromettere il buon andamento dei servizi sanitari e la loro capacità di tutelare la salute» (sentenza n. 192 del 2017). Lo stesso discorso vale per le funzioni amministrative della Regione attinenti alla scuola e ai servizi per l’infanzia. In altre parole, mentre è chiaro che la Regione dovrà cambiare un punto nodale delle proprie politiche vaccinali previste dalla legge (e in particolare dalla legge regionale n. 7 del 2007), non è affatto spiegato come e in quale misura il cambiamento dovrebbe compromettere l’efficienza dei servizi sanitari, scolastici ed educativi, come apoditticamente affermato nei ricorsi.
8.2.– Le questioni sollevate in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost. non sono fondate.
In riferimento a tali parametri, la ricorrente afferma di non voler contestare, in linea di principio, l’utilità dei vaccini per la tutela della salute, né di sottovalutare la necessità di un impegno pubblico per la loro diffusione capillare tra la popolazione. La ricorrente contesta, invece, la repentina introduzione di un ampio novero di vaccinazioni obbligatorie effettuata dalla normativa impugnata: a tal proposito, il ricorso contrappone alla scelta del legislatore statale l’efficacia della diversa strategia adottata dalla Regione Veneto a partire dalla citata legge regionale n. 7 del 2007, basata sul convincimento e sulla persuasione. Tale metodo sarebbe più rispettoso della libera autodeterminazione individuale e realizzerebbe un bilanciamento più equilibrato tra le esigenze di tutela della salute individuale e collettiva e la libertà di cura, parimenti garantita dall’art. 32 Cost., oltre che da numerosi strumenti giuridici internazionali e sovranazionali, i quali sono citati nel ricorso, senza peraltro che in relazione ad essi siano sviluppate autonome questioni di legittimità costituzionale o argomentazioni specifiche.
8.2.1.– Occorre anzitutto osservare che la giurisprudenza di questa Corte in materia di vaccinazioni è salda nell’affermare che l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività (da ultimo sentenza n. 268 del 2017), nonché, nel caso di vaccinazioni obbligatorie, con l’interesse del bambino, che esige tutela anche nei confronti dei genitori che non adempiono ai loro compiti di cura (ex multis, sentenza n. 258 del 1994).
In particolare, questa Corte ha precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990).
Dunque, i valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni sono molteplici e implicano, oltre alla libertà di autodeterminazione individuale nelle scelte inerenti alle cure sanitarie e la tutela della salute individuale e collettiva (tutelate dall’art. 32 Cost.), anche l’interesse del minore, da perseguirsi anzitutto nell’esercizio del diritto-dovere dei genitori di adottare le condotte idonee a proteggere la salute dei figli (artt. 30 e 31 Cost.), garantendo però che tale libertà non determini scelte potenzialmente pregiudizievoli per la salute del minore (sul punto, ad esempio, ordinanza n. 262 del 2004).
Il contemperamento di questi molteplici principi lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo. Questa discrezionalità deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 2017), e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002).
8.2.2.– Anche nel diritto comparato si riscontra una varietà di approcci. Posto un generale favor giuridico per le politiche di diffusione delle pratiche vaccinali – basate sulle evidenze statistiche e sperimentali delle autorità competenti e specialmente dell’OMS, che considerano la vaccinazione una misura indispensabile per garantire la salute individuale e pubblica – diversi sono gli strumenti prescelti dai vari ordinamenti per conseguire gli obiettivi comuni.
A un estremo, si trovano esperienze che ancora di recente hanno conosciuto obblighi vaccinali muniti di sanzione penale (Francia); all’estremo opposto si trovano programmi promozionali massimamente rispettosi dell’autonomia individuale (come nel Regno Unito); nel mezzo, si ravvisa una varietà di scelte diversamente modulate, che comprendono ipotesi in cui la vaccinazione è considerata requisito di accesso alle scuole (come avviene negli Stati Uniti, in alcune Comunità autonome in Spagna e tuttora anche in Francia) ovvero casi in cui la legge richiede ai genitori (o a chi esercita la responsabilità genitoriale) di consultare obbligatoriamente un medico prima di operare la propria scelta, a pena di sanzioni pecuniarie (Germania).
Peraltro, questa diversa intensità di vincoli si accompagna a una altrettanto varia individuazione del numero dei vaccini proposti o richiesti.
In molti paesi, peraltro, è in corso un dibattito sulle politiche vaccinali, teso alla ricerca degli strumenti giuridicamente più efficaci in vista del condiviso obiettivo di proteggere la salute dalle malattie infettive e da quelle che possono comportare gravi complicanze, contenibili attraverso la vaccinazione preventiva.
8.2.3.– Anche l’evoluzione della legislazione italiana in materia registra il susseguirsi di politiche vaccinali di vario segno, sicché a fasi alterne l’accento è di volta in volta caduto più sull’obbligo o sulla raccomandazione (come si evince da quanto supra esposto nel punto 3.4. del Considerato in diritto).
Vero è che verso la fine degli anni novanta, in concomitanza con l’accentuarsi di una più spiccata sensibilità per i diritti di autodeterminazione individuale anche in campo sanitario, sono state privilegiate le politiche vaccinali basate sulla sensibilizzazione, l’informazione e la persuasione, piuttosto che sull’obbligo, garantendo comunque che tutte le vaccinazioni fossero oggetto di offerta attiva, rientrassero nei livelli essenziali delle prestazioni e fossero somministrate gratuitamente a tutti i cittadini secondo le cadenze previste dai calendari vaccinali. In questo contesto, in alcune Regioni, in via sperimentale, si è sospeso l’obbligo di vaccinazione, come è accaduto ad esempio proprio in Veneto con la legge regionale n. 7 del 2007.
Tuttavia, negli anni più recenti, si è assistito a una flessione preoccupante delle coperture, alimentata anche dal diffondersi della convinzione che le vaccinazioni siano inutili, se non addirittura nocive: convinzione, si noti, mai suffragata da evidenze scientifiche, le quali invece depongono in senso opposto. In proposito, è bene sottolineare che i vaccini, al pari di ogni altro farmaco, sono sottoposti al vigente sistema di farmacovigilanza che fa capo principalmente all’Autorità italiana per il farmaco (AIFA). Anche per essi, come per gli altri medicinali, l’evoluzione della ricerca scientifica ha consentito di raggiungere un livello di sicurezza sempre più elevato, fatti salvi quei singoli casi, peraltro molto rari alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, nei quali, anche in ragione delle condizioni di ciascun individuo, la somministrazione può determinare conseguenze negative. Per tale ragione l’ordinamento reputa essenziale garantire un indennizzo per tali singoli casi, senza che rilevi a quale titolo – obbligo o raccomandazione – la vaccinazione è stata somministrata (come affermato ancora di recente nella sentenza n. 268 del 2017, in relazione a quella anti-influenzale). Anzi, paradossalmente, proprio il successo delle vaccinazioni, induce molti a ritenerle erroneamente superflue, se non nocive: infatti, al diminuire della percezione del rischio di contagio e degli effetti dannosi della malattia, in alcuni settori dell’opinione pubblica possono aumentare i timori per gli effetti avversi delle vaccinazioni.
A fronte di tali fenomeni, il dibattito sull’opportunità di ripristinare l’obbligo di vaccinazione è rimasto aperto in varie sedi. A questo tema, hanno fatto cenno, come già rilevato, il CNB nel 2015 e anche il PNPV 2017-2019. Hanno inoltre espresso argomenti e posizioni in linea con le valutazioni presupposte dal d.l. n. 73 del 2017 l’Accademia nazionale dei Lincei (nel rapporto «I Vaccini» del 12 maggio 2017), prima dell’emanazione del decreto-legge, e l’ISS, nell’ambito dell’istruttoria parlamentare sul disegno di legge di conversione. Inoltre, dopo la comunicazione al pubblico dell’approvazione del medesimo decreto-legge, hanno manifestato favore per l’impostazione di quest’ultimo (chiedendo, anzi, misure più incisive per garantirne l’effettività) quattro associazioni scientifiche e professionali (la Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica; la Società italiana di pediatria; la Federazione italiana dei medici pediatri e la Federazione italiana dei medici di medicina generale), da tempo attive con specifiche pubblicazioni e proposte nel settore della politica vaccinale. Nel corso dell’istruttoria, come pure si è già detto, ha anche manifestato favore per le iniziative delle istituzioni italiane l’OMS, richiamando alcuni dei propri programmi in materia vaccinale (Global Vaccine Action Plan 2011-2010; Measles and Rubella Global Strategic Plan 2012-2020; European Vaccine Action Plan 2015-2020). Significativo è anche il fatto che, nel corso dei lavori parlamentari, la Conferenza unificata si sia espressa favorevolmente su quanto previsto dalla normativa ora in esame, pur con richieste di alcuni adattamenti, in parte avvenuti in sede di conversione («Parere, ai sensi dell’articolo 9, comma 3, del decreto legislativo 197, n. 281, sul disegno di legge per la conversione in legge del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, recante disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale», repertorio atti n. 71/CU del 6 luglio 2017), pronunciandosi quasi all’unanimità (con l’eccezione della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e della Regione Veneto, appunto). In analoga direzione, del resto, si erano precedentemente mosse alcune iniziative legislative regionali, come già rilevato.
8.2.4.– Si assiste, dunque, oggi a una inversione di tendenza – dalla raccomandazione all’obbligo di vaccinazione – in cui si inserisce anche la normativa oggetto del presente giudizio. Valutata alla luce del contesto descritto nei suoi tratti essenziali, la scelta del legislatore statale non può essere censurata sul piano della ragionevolezza per aver indebitamente e sproporzionatamente sacrificato la libera autodeterminazione individuale in vista della tutela degli altri beni costituzionali coinvolti, frustrando, allo stesso tempo, le diverse politiche vaccinali implementate dalla ricorrente. Il legislatore, infatti, intervenendo in una situazione in cui lo strumento della persuasione appariva carente sul piano della efficacia, ha reso obbligatorie dieci vaccinazioni: meglio, ha riconfermato e rafforzato l’obbligo, mai formalmente abrogato, per le quattro vaccinazioni già previste dalle leggi dello Stato, e l’ha introdotto per altre sei vaccinazioni che già erano tutte offerte alla popolazione come “raccomandate”. Non è corretto, dunque, affermare – come fa la ricorrente – che la legge ha repentinamente introdotto dal nulla l’imposizione di un ampio numero di vaccinazioni; essa ha invece innovato il titolo giuridico in nome del quale alcune vaccinazioni sono somministrate, avendo reso obbligatorio un certo numero di vaccinazioni che in precedenza erano, comunque, già raccomandate.
Indubbiamente, il vincolo giuridico si è fatto più stringente: ciò che in precedenza era raccomandato, oggi è divenuto obbligatorio. Ma nel valutare l’intensità di tale cambiamento – ai fini del giudizio sulla ragionevolezza del bilanciamento operato dal legislatore con il decreto-legge n. 73 del 2017 e della conseguente compressione dell’autonomia regionale – occorre peraltro tenere presenti due ordini di considerazioni.
Il primo è che nell’orizzonte epistemico della pratica medico-sanitaria la distanza tra raccomandazione e obbligo è assai minore di quella che separa i due concetti nei rapporti giuridici. In ambito medico, raccomandare e prescrivere sono azioni percepite come egualmente doverose in vista di un determinato obiettivo (tanto che sul piano del diritto all’indennizzo le vaccinazioni raccomandate e quelle obbligatorie non subiscono differenze: si veda, da ultimo la sentenza n. 268 del 2017). In quest’ottica, occorre considerare che, anche nel regime previgente, le vaccinazioni non giuridicamente obbligatorie erano comunque proposte con l’autorevolezza propria del consiglio medico.
Il secondo è che nel nuovo assetto normativo, basato, come si è detto sull’obbligatorietà (giuridica), il legislatore in sede di conversione ha ritenuto di dover preservare un adeguato spazio per un rapporto con i cittadini basato sull’informazione, sul confronto e sulla persuasione: in caso di mancata osservanza dell’obbligo vaccinale, l’art. 1 comma 4 del decreto-legge n. 73 del 2017, come convertito, prevede un procedimento volto in primo luogo a fornire ai genitori (o agli esercenti la potestà genitoriale) ulteriori informazioni sulle vaccinazioni e a sollecitarne l’effettuazione. A tale scopo, il legislatore ha inserito un apposito colloquio tra le autorità sanitarie e i genitori, istituendo un momento di incontro personale, strumento particolarmente favorevole alla comprensione reciproca, alla persuasione e all’adesione consapevole. Solo al termine di tale procedimento, e previa concessione di un adeguato termine, potranno essere inflitte le sanzioni amministrative previste, peraltro assai mitigate in seguito agli emendamenti introdotti in sede di conversione.
8.2.5.– Nel presente contesto, dunque, il legislatore ha ritenuto di dover rafforzare la cogenza degli strumenti della profilassi vaccinale, configurando un intervento non irragionevole allo stato attuale delle condizioni epidemiologiche e delle conoscenze scientifiche. Nulla esclude che, mutate le condizioni, la scelta possa essere rivalutata e riconsiderata. In questa prospettiva di valorizzazione della dinamica evolutiva propria delle conoscenze medico-scientifiche che debbono sorreggere le scelte normative in campo sanitario, il legislatore – ai sensi dell’art. 1, comma 1-ter del decreto-legge n. 73 del 2017, come convertito – ha opportunamente introdotto in sede di conversione un sistema di monitoraggio periodico che può sfociare nella cessazione della obbligatorietà di alcuni vaccini (e segnatamente di quelli elencati all’art. 1, comma 1-bis: anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite, anti-varicella). Questo elemento di flessibilizzazione della normativa, da attivarsi alla luce dei dati emersi nelle sedi scientifiche appropriate, denota che la scelta legislativa a favore dello strumento dell’obbligo è fortemente ancorata al contesto ed è suscettibile di diversa valutazione al mutare di esso.
Peraltro, non si può fare a meno di rilevare che tale strumento di flessibilizzazione si applica solo a quattro dei dieci vaccini imposti obbligatoriamente dalla legge. Analoghe variazioni nelle condizioni epidemiologiche, nei dati relativi alle reazioni avverse e alle coperture vaccinali potrebbero suggerire al legislatore di prevedere un analogo meccanismo di allentamento del grado di coazione esercitabile anche in riferimento alle sei vaccinazioni indicate al comma 1, dell’art. 1 (anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, antipertosse, anti Haemophilus influenzae tipo b).
9.– Con l’ultimo ordine di questioni, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost., con ridondanza sull’art. 119, primo e quarto comma, Cost., il quale sarebbe altresì autonomamente violato.
9.1.– Le questioni che lamentano la violazione diretta dell’art. 119, primo e quarto comma, Cost. sono inammissibili, come eccepito dalla difesa statale.
È costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte il principio per cui, in relazione all’art. 119 Cost., non sono ammissibili le censure indirizzate apoditticamente all’inadeguatezza delle risorse a disposizione delle Regioni per l’erogazione dei servizi sanitari, senza riferimenti a dati più analitici alle entrate e alle uscite relative (si vedano, ad esempio, le sentenze n. 192 del 2017 e le altre ivi citate, cui adde le sentenze n. 249 e n. 125 del 2015). Con i ricorsi qui in esame, la Regione si limita a lamentare la «violazione, anche diretta ed autonoma, dell’art. 119, commi 1 e 4 Cost.» e, dopo avere argomentato l’esistenza di oneri non coperti a suo carico, ne quantifica la misura. Tuttavia, la ricorrente non inquadra questi oneri nel contesto più ampio delle uscite e delle entrate regionali e pertanto non spiega se essi siano sostenibili o meno; né considera, con riguardo al recupero delle vaccinazioni per le coorti 2001-2016, le risorse già messe a disposizione in ciascun periodo, in relazione agli obiettivi sanitari via via programmati.
9.2.– Nondimeno, la quantificazione degli oneri asseritamente non coperti, nei termini in cui è svolta dalla ricorrente, può considerarsi sufficiente a illustrare la ridondanza della denunciata violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost. sulla sfera finanziaria della Regione. Tale censura deve, pertanto, essere esaminata nel merito.
9.2.1.– Nel corso dell’istruttoria parlamentare, la censurata clausola di invarianza – ancorché accompagnata, nella relazione tecnica, da argomentazioni specifiche, in parte sviluppate nel corso dei lavori – è stata oggetto di rilievi da parte dei competenti uffici del Senato (A.S. 2856, «Nota di lettura«, giugno 2017, n. 185) e, in misura minore, della Camera dei deputati (A.C. 4595, «Verifica delle quantificazioni», 25 luglio 2017, n. 595). Ulteriori perplessità sono state poi espresse, sia pure in modo sintetico, dalle sezioni riunite della Corte dei conti, nella relazione sulle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri applicate nelle leggi del quadrimestre maggio-agosto 2017 (delibera 2 novembre 2017, n. 9/SSRRCO/RQ/17).
La giustificazione addotta a sostegno della clausola di invarianza finanziaria è la già rilevata continuità tra le vaccinazioni già previste nei piani sanitari nazionali, come raccomandate o obbligatorie, e quelle soggette agli obblighi di legge ex d.l. n. 73 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2017. Come si è già osservato (supra punto 7.2.1. del Considerato in diritto), tutte le vaccinazioni oggi assoggettate ad obbligo di legge erano incluse nei LEA e, pertanto, erano già finanziate attraverso i normali canali del settore sanitario.
In particolare, le vaccinazioni previste nel PNPV 2017-2019 – comprese quelle (contro varicella e meningococco di tipo B) in precedenza non oggetto di offerta gratuita, attiva e generale – sono incluse nell’aggiornamento dei LEA stabilito nel 2017. Per tale aggiornamento, la legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», art. 1, comma 553, ha stimato una somma di 800 milioni di euro annui (si veda, al riguardo, la sentenza n. 192 del 2017). Successivamente, la legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), all’art. 1, comma 408, ha previsto, nell’ambito del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, «una specifica finalizzazione, pari a 100 milioni di euro per l’anno 2017, a 127 milioni di euro per l’anno 2018 e a 186 milioni di euro a decorrere dall’anno 2019, per il concorso al rimborso alle regioni per l’acquisto di vaccini ricompresi nel nuovo piano nazionale vaccini (NPNV)».
Indubbiamente, nella documentazione tecnica relativa al d.l. n. 73 del 2017, diversi profili avrebbero dovuto essere affrontati in termini più precisi e completi. In particolare, non è stata considerata l’eventualità che, in forza dei nuovi obblighi, le coperture possano salire eventualmente anche al di sopra del 95 per cento. Rispetto a tale eventualità, gli argomenti, i dati e i calcoli, anche previsionali, avrebbero potuto essere più sviluppati nella documentazione tecnica, come segnalato dalla Corte dei conti nella relazione già citata.
9.2.2.– A fronte di tutto ciò, occorre ribadire che l’art. 81, terzo comma, Cost. sancisce il principio di analitica copertura degli oneri finanziari, del quale costituisce puntualizzazione tecnica l’art. 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica). Si tratta di un precetto sostanziale, in virtù del quale ogni disposizione che comporta conseguenze finanziarie, positive o negative, deve essere corredata da un’apposita istruttoria in merito agli effetti previsti e alla loro compatibilità con le risorse disponibili (sentenze n. 133 del 2016, n. 70 del 2015, n. 190 del 2014 e n. 26 del 2013). Per tutti i nuovi oneri, occorre fornire una copertura credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, sicché è censurabile l’indicazione generica e non analiticamente quantificata degli oneri e delle risorse destinate a farvi fronte (si veda, ad esempio, la sentenza n. 183 del 2016). L’obbligo di copertura deve essere osservato con puntualità rigorosa nei confronti delle spese che incidono su un esercizio in corso, e deve altresì valutarsi il tendenziale equilibrio tra entrate ed uscite nel lungo periodo, considerando gli oneri già gravanti sugli esercizi futuri (si veda, ad esempio, la sentenza n. 237 del 2013).
Più volte, sulla base delle considerazioni predette, sono state censurate leggi che prevedevano una clausola di invarianza ma, al contempo, contraddittoriamente introducevano nuovi oneri a carico dell’amministrazione (si vedano, ad esempio, le sentenze n. 307 e n. 212 del 2013). In particolare, allorché sono stati disposti interventi inevitabilmente onerosi, senza che né nella legge né altrove si fosse data alcuna spiegazione in merito alle spese e alla loro copertura, questa Corte è stata dell’avviso che la previsione dell’assenza di oneri aggiuntivi costituisse «una mera clausola di stile, priva di sostanza» (sentenza n. 18 del 2013).
9.2.3.– Nel ribadire i predetti principi questa Corte ritiene, peraltro, che nel caso odierno, le questioni promosse dalla Regione Veneto in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost. possano considerarsi complessivamente non fondate, nei termini di seguito precisati.
Depone in questo senso principalmente la più volte evidenziata continuità tra il d.l. n. 73 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2017, e l’assetto precedente, quanto all’identificazione delle vaccinazioni rilevanti, in passato (per la maggior parte di esse) nella prospettiva dell’offerta generale, gratuita e attiva e, oggi, nella prospettiva dell’obbligo (o, per le quattro vaccinazioni già prescritte dalla legislazione statale, di un’obbligatorietà ribadita e rafforzata). Non c’è alcun motivo specifico per dubitare che le risorse stanziate via via, nel tempo, coprissero l’offerta di questi trattamenti preventivi per tutta la popolazione: anzi, a quanto risulta dai dati dell’ISS (e anche da quelli presentati dalla Regione Veneto, per quanto la riguarda), in passato già si erano raggiunti in alcuni casi, con gli stessi mezzi, tassi di copertura anche superiori al 95 per cento. Si aggiunga che non da oggi i servizi vaccinali si rivolgono anche agli stranieri e includono iniziative di invito e richiamo degli interessati, come pure di verifica dei livelli di copertura. Con particolare riguardo all’esercizio 2017, poi, per effetto delle modifiche apportate in sede di conversione, non è obbligatoria la somministrazione di alcuna vaccinazione che non fosse almeno già offerta gratuitamente e attivamente a tutta la popolazione.
D’altra parte, la quantificazione dei maggiori oneri conseguenti all’applicazione delle nuove norme è oggettivamente difficile, tenuto conto del numero, della varietà e delle peculiarità dei fattori: primo fra tutti, il tasso di adempimento spontaneo (o, invertendo la prospettiva, l’eventuale permanenza di un certo tasso di assenteismo) da parte della popolazione. In questa situazione, anche a voler applicare canoni prudenziali, qualsiasi previsione presenterebbe margini di incertezza ineliminabili.
Pertanto – anche alla luce degli elementi argomentativi comunque presenti nella documentazione tecnica – questa Corte ritiene che la clausola di invarianza, nel breve periodo e tenuto conto della necessità dell’immediato intervento, non sia implausibile sì da incorrere in una violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost.
9.3.– Al contempo, si deve ricordare che la legge impone al Ministero dell’economia e delle finanze di esercitare con puntualità e correttezza le funzioni di monitoraggio previste all’art. 17, comma 12, della legge n. 196 del 2009 e, se del caso, di promuovere i provvedimenti di cui ai commi successivi, anche quando gli oneri ricadono in prima battuta sui bilanci regionali.
Lo impone il principio dell’equilibrio dinamico, fondato sulla continuità degli esercizi finanziari, il quale è «essenziale per garantire nel tempo l’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale» e richiede che si rimedi con modalità diacroniche agli eventuali squilibri, anche quando si siano verificati per cause già immanenti nella legislazione (si vedano, tra le ultime, le sentenze n. 89 del 2017, n. 280 e n. 188 del 2016, n. 155 e n. 10 del 2015).
10.– La presente decisione assorbe le istanze cautelari (sentenze n. 155, n. 145 e n. 141 del 2016).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibili gli interventi di «Aggregazione Veneta – Aggregazione delle associazioni maggiormente rappresentative degli enti ed associazioni di tutela della identità, cultura e lingua venete» e L. P., di «Associazione per Malati Emotrasfusi e Vaccinati» (AMEV), nonché di CODACONS e «Articolo 32 – Associazione italiana per i diritti del malato» (AIDMA) nel giudizio promosso dalla Regione Veneto con il ricorso n. 51 del 2017 indicato in epigrafe;
2) dichiara inammissibili gli interventi di «Aggregazione Veneta» e L. P., del «Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino» (CONDAV), di AMEV, L. B. e C. C., in qualità di genitori del minore L. C., nel giudizio promosso dalla Regione Veneto con il ricorso n. 75 del 2017 indicato in epigrafe;
3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6-ter, del decreto-legge n. 73 del 2017 (Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, di malattie infettive e di controversie relative alla somministrazione di farmaci), convertito dalla legge 31 luglio 2017, n. 119, promosse, in riferimento agli artt. 2, 3, 5, 31, 32, 34, 77, secondo comma, 81, terzo comma, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119, primo e quarto comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto, con il ricorso n. 75 del 2017 indicato in epigrafe;
4) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1, lettere g e h, 4 e 5, del decreto-legge n. 73 del 2017 (Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale), promosse, in riferimento agli artt. 2, 3, 31, 32, 34, 77, secondo comma, 81, terzo comma, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119, primo e quarto comma, Cost., dalla Regione Veneto, con il ricorso n. 51 del 2017 indicato in epigrafe;
5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’intero testo del d.l. n. 73 del 2017 e degli artt. 1, commi 1, 1-ter, 2, 3, 4 e 6-ter; 3; 3-bis; 4; 5; 5-quater e 7 del d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017, promosse, in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost., dalla Regione Veneto, con i ricorsi indicati in epigrafe;
6) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1, 1-bis, 2, 3, 4 e 6-ter; 3; 3-bis; 4; 5; 5-quater e 7 del d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017, promosse, in riferimento all’art. 118 Cost., dalla Regione Veneto, con i ricorsi indicati in epigrafe;
7) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1, 1-bis, 2, 3, 4 e 6-ter; 3; 3-bis; 4; 5; 5-quater e 7 del d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017, promosse, in riferimento all’art. 5 Cost., dalla Regione Veneto, con il ricorso n. 75 del 2017 indicato in epigrafe;
8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1, 1-bis, 2, 3, 4 e 6-ter; 3; 3-bis; 4; 5; 5-quater e 7 del d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017, promosse, in riferimento all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., dalla Regione Veneto, con i ricorsi indicati in epigrafe;
9) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1, 1-bis, 2, 3, 4 e 6-ter; 3; 3-bis; 4; 5; 5-quater e 7 del d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 31, 32, 34 e 97 Cost., dalla Regione Veneto, con i ricorsi indicati in epigrafe;
10) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1, 1-bis, 2, 3, 4 e 6-ter; 3; 3-bis; 4; 5; 5-quater e 7 del d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost., dalla Regione Veneto, con i ricorsi indicati in epigrafe;
11) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1, 1-bis, 1-ter, 2, 3, 4 e 6-ter; 3; 3-bis; 4; 5; 5-quater e 7 del d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017, promosse, in riferimento all’art. 119, primo e quarto comma, Cost., dalla Regione Veneto, con i ricorsi indicati in epigrafe;
12) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1, 1-bis, 1-ter, 2, 3, 4 e 6-ter; 3; 3-bis; 4; 5; 5-quater e 7 del d.l. n. 73 del 2017, come convertito dalla legge n. 119 del 2017, promosse, in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., dalla Regione Veneto, con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA